


Foresta
Lei
“Lasciami andare,” cercai di liberare il polso dalla sua stretta, era doloroso, “Micah, per favore.”
Guardai intorno al corridoio osservando tutti mentre andavano alle loro lezioni, ignorandoci. Cercai di catturare lo sguardo di qualcuno, l'attenzione di chiunque, ma nessuno ci guardava.
“Inesa, guardami.”
Rivolsi di nuovo gli occhi verso di lui, sentendo le lacrime pungermi. Dio, era bello. Bellissimo, persino.
“Per favore, lasciami andare,” volevo scappare da lui, non volevo che mi vedesse piangere. Premetti le labbra insieme, osservando i suoi occhi mentre si abbassavano, pieni di tristezza.
“Inesa, possiamo solo parlare?” Abbassò il viso, scrutando i miei occhi.
Non sapevo cosa stesse cercando, ma lasciò andare il mio polso quando annuii piano.
“Dopo scuola?”
Annuì di nuovo.
“Possiamo incontrarci davanti?”
“Va bene,” sussurrai.
I miei occhi si spostarono sul pavimento, non volevo affrontarlo. Mi allontanai da lui, liberandomi dall'odore ipnotico del suo profumo.
La campanella suonò, avvisandomi che ero in ritardo per la lezione. Borbottai a me stessa, infastidita. Però, sapevo che con un piccolo sorriso e una scusa, sarei stata ammessa in classe senza problemi. Mi asciugai il naso con la manica del maglione, asciugando le lacrime con il palmo.
“Stai bene?”
La voce roca mi fece sobbalzare, e lasciai cadere i libri che avevo in braccio. Con un sospiro e un singhiozzo, mi chinai per raccoglierli, scuotendo la testa per la frustrazione. Mentre mi rialzavo e li sistemavo nell'incavo del gomito, due dita premettero sul mio mento.
Sussultai, spostando gli occhi con il viso mentre veniva sollevato. Mi trovai di fronte allo sguardo intimidatorio di due occhi verde foresta. Erano incorniciati da sopracciglia scure, interrotte da una piccola chiazza di peli bianchi nell'angolo del sopracciglio sinistro. Le mie labbra tremavano, faticavo a trovare le parole, ma i miei occhi si nutrivano della sua vista.
La striscia bianca continuava sui capelli castano scuro della sua testa come una linea retta sul lato sinistro, facendolo sembrare come se l'avesse tinta apposta, ma chi lo farebbe? Alzò il sopracciglio bianco, le labbra serrate attorno alla sigaretta accesa che teneva in bocca.
“Stai bene?” Ripeté, le dita ancora premute sotto il mio mento.
“Io-“ Ero di nuovo congelata dalla foresta nei suoi occhi. Non l'avevo mai visto prima, ma mentre lo guardavo mi chiedevo come avessi potuto non notarlo.
Era alto con spalle larghe e aveva tatuaggi su e giù per le braccia. Sbuffò mentre studiava il mio viso, e tenevo i libri contro il petto, le nocche diventando bianche mentre stringevo la presa.
Il modo in cui mi guardava mi faceva perdere il respiro, mi faceva male il petto all'improvviso. Come avevo fatto a non notarlo prima?
“Signor Ashford!” La voce stridula della signora Jacob mi fece sobbalzare e allontanarmi dal suo tocco. Non avevo nemmeno sentito aprirsi la porta. Lui tenne gli occhi su di me, senza nemmeno riconoscere la sua presenza, “Togli quella sigaretta dalla bocca e spegnila! La voglio nel cestino, adesso! Ti segno per la punizione.”
Lui aggrottò leggermente le sopracciglia, ma continuò a fissarmi, facendomi arrossire sotto il suo sguardo. Senza guardarla, spinse la sigaretta dalle labbra con la lingua e la lasciò cadere a terra, schiacciandola con il suo pesante stivale.
"Signor Ashford!" La signora Jacob batté il piede, guardandolo con le sopracciglia aggrottate.
Finalmente distolse il suo sguardo cupo da me per lanciarle un’occhiata arrabbiata prima di chinarsi a raccogliere la sigaretta schiacciata dal pavimento.
"Signorina Aberra."
Distolsi lo sguardo da lui, rendendomi conto solo allora che lo stavo fissando senza ritegno. Lei strinse gli occhi su di me, indicando con un cenno verso l’aula.
"Scusa," mormorai, entrando nella classe familiare. Mi bloccai quando notai gli occhi di tutti su di me. Sentii di nuovo le lacrime dietro gli occhi, pronte a fare la loro apparizione.
Guardai intorno, quasi facendo una smorfia dolorosa quando vidi i banchi vuoti dove Liz ed io ci sedevamo solo pochi giorni fa. Volevo sprofondare, scappare, nascondermi dagli sguardi curiosi.
Improvvisamente, sentii una mano forte e calda sulla parte bassa della schiena, spingendomi in avanti. Lo guardai e lui sembrava aggrottare le sopracciglia a chiunque mi guardasse,
"Vieni," mormorò.
Il mio cuore iniziò a battere all'impazzata, ma camminai in avanti, trovando una strana forza nel suo tocco. Camminò accanto a me fino a raggiungere gli ultimi banchi che erano nascosti nell'angolo della classe.
Mi sedetti, ascoltando a malapena la signora Jacobs mentre parlava davanti alla classe. Lui si sedette accanto a me, gettando la testa all'indietro e incrociando le braccia sul petto.
Era sempre stato in questa classe?
Era l'ultima lezione della giornata e a malapena riuscivo a mantenere la concentrazione, le mie mani erano sudate e il petto mi faceva male quando inspiravo. Evitavo di guardare i banchi vuoti che Liz ed io avevamo occupato la settimana prima, la loro vista mi faceva venire la nausea.
Mi pentii di aver accettato il suggerimento di Micah. Non volevo vederlo, tanto meno parlargli. Come poteva aver fatto una cosa del genere? Io lo amavo. Era tutto per me. Era abbastanza.
Immagino che io non lo fossi.
"Inesa?"
Il suono del mio nome nella sua voce profonda e rauca mi fece venire la pelle d'oca. Mi girai verso di lui con il volto corrucciato.
Come faceva a sapere il mio nome?
I suoi occhi verde foresta scrutavano il mio viso, "Stai bene?"
Mi sentivo un'idiota, e ero sicura di apparire tale. Le mie labbra si schiusero e inspirai, anche se non ero sicura di cosa avrei detto. Prima che una parola potesse uscire dalla mia bocca, la campanella suonò forte, facendomi sobbalzare leggermente.
Mi alzai in fretta, raccogliendo le mie cose. Lui mi osservava dal suo posto, il suo sguardo diventando arrabbiato,
"Ehm, grazie," sussurrai, anche se non ero sicura di cosa lo stessi ringraziando.
Tutto quello che sapevo era che dovevo uscire di lì. Stavo soffocando. Mi girai sui tacchi e lo lasciai lì con i suoi occhi bellissimi e lo sguardo intimidatorio.