Capitolo 4

Il punto di vista di Elsa

Mi trascinai, esausta, dentro la Stone Industries, con la scena della sera prima che continuava a ripetersi nella mente. La voce gelida di Drake, il profumo di fragola di Vera che gli era rimasto sulla pelle, la sua dichiarazione di volere una “relazione seria” con lei… ogni cosa era una pugnalata.

Vaffanculo, Drake. Tutto questo tempo insieme e questo è ciò che mi merito.

Ma la mia carriera doveva andare avanti. Mia madre aveva ancora bisogno dei suoi costosi trattamenti per l'intossicazione da argento e, in questa società di lupi, un Omega senza protezione non aveva quasi nessuna possibilità di sopravvivere. Ed è proprio questo che mi fa imbestialire: ho bisogno di quel bastardo anche quando lo odio.

Le porte dell'ascensore si aprirono. Feci un respiro profondo, aggiustai l'espressione del viso e raddrizzai le spalle. Ma quando mi diressi verso la mia scrivania, mi bloccai di colpo: Vera era seduta sulla mia sedia, con le dita che danzavano sulla mia tastiera.

I miei oggetti personali erano spariti: le foto, il portapenne, persino il cuscino personalizzato della sedia. Al loro posto c'erano l'agenda rosa di Vera e un deodorante per ambienti a forma di fragola.

Un'ondata di rabbia incandescente mi attraversò. Quella piccola stronza intrigante mi sta letteralmente cancellando.

«Cosa sta succedendo?» Mantenni la voce controllata, nascondendo lo shock e la rabbia, anche se la mia lupa ringhiava, spingendomi a strapparle la gola.

Vera alzò lo sguardo. Un lampo di trionfo le attraversò il viso, prima di trasformarsi in quella finta espressione spaventata che ormai conoscevo fin troppo bene. «Oh, Elsa! Scusa, non te l'ho detto. Drake dice che deve farmi da mentore da vicino, quindi…» La sua voce si spense, mentre i suoi occhioni si riempivano di un rimorso artefatto.

Mentore? È così che lo chiamano adesso? Vuole solo il tuo bel culetto sodo a portata di mano.

«Certo. Un “tutoraggio” ravvicinato.» La mia lupa ululò, desiderosa di fare a pezzi quella donna che mi stava portando via tutto.

Ma mi limitai ad annuire e chiesi: «Dov'è la mia scrivania, adesso?»

Vera indicò una postazione vuota nell'angolo dell'ufficio, lontana dalla stanza di Drake, lontana dal cuore dell'area operativa, accanto alla fotocopiatrice e alla sala relax. L'equivalente aziendale dell'esilio.

«Le tue cose sono tutte lì», disse a bassa voce, come se fosse una cosa da niente.

Vidi le altre segretarie e assistenti fingere di lavorare, ma sapevo che stavano tutte guardando il dramma svolgersi. Elsa Hale, un tempo assistente senior e braccio destro di Drake, ora relegata in un angolo.

Umiliazione pubblica. Ecco cos'è. Drake stava mostrando a tutti che ero stata sostituita. Che andasse al diavolo.

«Grazie per avermelo detto», dissi con calma, voltandomi verso la mia nuova postazione. Ogni passo era come camminare verso il patibolo, con la mia dignità ridotta a brandelli.

Mentre passavo, sentii Kayla sussurrare: «Non durerà a lungo, non ti preoccupare».

Ma non ero sicura se si riferisse a Vera, o a me.


All'ora di pranzo, la maggior parte del personale lasciò l'ufficio per la pausa. Io rimasi alla scrivania, cercando di concentrarmi sulla riorganizzazione di alcuni report finanziari: un lavoro che avevo ereditato da Kayla, a quanto pare, essendo stata ritenuta più adatta a compiti basilari che al coordinamento di progetti tra branchi.

Stupido lavoro d'ufficio. Tutta la mia esperienza e mi ritrovo a fare inserimento dati come una stagista.

L'ascensore suonò e Vera entrò, portando due eleganti buste da asporto con il logo del "Peak Restaurant". Il mio posto con Drake. A lui piaceva la loro bistecca, cottura media al sangue con salsa al pepe nero. Il posto dove avevamo festeggiato ogni successo trimestrale.

Era il nostro ristorante, la nostra tradizione. E ora la stava condividendo con lei.

Senza degnarmi di uno sguardo, si diresse dritta verso l'ufficio di Drake. Bussò piano, poi tubò: «Drake, ti ho portato il tuo pranzo preferito».

La porta si aprì e la voce di Drake arrivò da dentro: «Che pensiero gentile. Entra pure».

La porta si richiuse, ma l'udito da lupo mannaro permetteva a chiunque fosse rimasto in ufficio di sentire cosa stesse accadendo all'interno. Le risatine di Vera, i mormorii bassi di Drake, il tintinnio delle posate e... suoni più intimi. Un bacio? O forse di più?

Le dita mi si bloccarono sulla tastiera, il corpo si irrigidì. I sensi da lupa sembravano penetrare quella porta, cogliendo i loro odori mescolati. Sentii il cuore strapparsi, ridotto in brandelli sanguinolenti.

Mi sta rimpiazzando così completamente. Probabilmente la sta piegando sulla stessa scrivania dove noi... Merda. Smettila di pensarci.

Lo stomaco mi si contorse per la nausea, la bile mi salì in gola. Il dolore era così intenso da essere fisico: un bruciore che dal petto si irradiava fino agli arti.

«Vuoi prendere qualcosa da mangiare?» Jason apparve all'improvviso alla mia scrivania, interrompendo i miei pensieri. Era un amico di Drake, ma era sempre stato gentile con me, uno dei pochi lupi che non discriminava gli Omega.

Scossi la testa. «No, grazie. Ho portato il pranzo.» Una bugia, ma avrei preferito morire di fame piuttosto che lasciare che qualcuno vedesse la mia vulnerabilità.

Jason aggrottò la fronte. «Non hai una bella cera.» Abbassò la voce. «Non prenderla troppo male. Drake è solo... sai, preso dalla novità.»

Novità? È così che la chiamiamo quando qualcuno butta via tutto ciò che abbiamo costruito per un po' di carne fresca?

Dall'ufficio arrivò una risata più sonora, la voce di Vera che filtrava attraverso la porta: «Smettila, Drake, mi fai il solletico...».

Il viso mi si sbiancò, mentre un sudore freddo mi imperlava la pelle. Credo che vomiterò.

Jason si schiarì la gola, a disagio. «Che ne dici di mangiare in terrazza? Lì è più tranquillo.»

«Non ho davvero fame, Jason. Grazie per l'offerta.» Ciò di cui ho bisogno non è cibo: è dignità, rispetto, e che questo coltello nel cuore smetta di girare.

Lui esitò, poi annuì e se ne andò. Mentre si dirigeva verso l'ascensore, notai che diversi colleghi mi lanciavano sguardi compassionevoli. Quella solidarietà era più umiliante di qualsiasi altra cosa.

Non ho bisogno della vostra fottuta pietà. Ho bisogno di rispetto e dignità. Ho bisogno di non essere trattata come un fazzoletto usa e getta dopo tutto quello che ho dato a questa azienda.

La porta dell'ufficio di Drake rimase chiusa fino a ben oltre l'una. Quando Vera finalmente uscì, aveva il rossetto sbavato, i capelli leggermente in disordine e, anche da quella parte dell'ufficio, potevo sentire il marchio dell'odore di Drake su di lei.

Mi voltai dall'altra parte, fingendo di concentrarmi sullo schermo del computer, ma le lacrime mi annebbiavano la vista. Non osare piangere. Non qui. Non dove possono vederti crollare.

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