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Sentivo la coscienza scivolare via, il mondo intorno a me che si trasformava in un turbinio di suoni e immagini sbiadite. Riuscivo a distinguere solo la furia degli uomini di Merrick mentre attaccavano senza successo lo sconosciuto dai capelli d’argento. Mi ignoravano completamente, lasciandomi a terra mentre si lanciavano contro di lui. L’aria si riempì di un suono di ossa spezzate, urla gutturali e guaiti di dolore. Nonostante il caos, non riuscivo a provare alcuna pietà per loro. La paura, però, era totalizzante. Ero ancora tutt’altro che al sicuro.

«Chi è questa persona?» Il panico mi attanagliò. «È più forte di tutti quei lupi... È un mutaforma come loro? Perché ha detto di essere morto? Che sia una specie di zombie o qualcosa del genere?! Perché li sta attaccando? Ha intenzione di ucciderli? E... se lo farà, ucciderà anche me?»

La droga che mi scorreva nelle vene mi aveva paralizzata, offuscandomi i sensi. Mi sentivo completamente impotente, il corpo che sprofondava sempre più nella nebbia dell'incoscienza. Non volevo essere riportata da Merrick e dai suoi uomini, ma morire per mano di un pazzo sembrava un destino anche peggiore.

All'improvviso, tutto tacque. Il combattimento era finito. Sentivo solo il rumore leggero di alcuni passi e poi... un paio di scarpe di pelle nera apparvero nel mio campo visivo. Provai ad alzare la testa, ma non ne avevo la forza. L'uomo dai capelli d'argento era chino su di me, la sua presenza in qualche modo terrificante e confortante allo stesso tempo.

«Ti prego... non... uccidermi» riuscii a sussurrare, la voce poco più di un respiro.

La sua voce profonda e magnetica rispose: «Fammi pensare... Cosa dovrei fare di te?»

Chiusi gli occhi, mentre la droga mi trascinava nell'oblio. Quando finalmente li riaprii, il sole stava sorgendo. Ero sdraiata su una panchina del parco, nello stesso punto in cui avevo perso conoscenza. Non c'era nessuno in giro, il parco era ancora deserto a quell'ora del mattino. Avevo addosso un cappotto nero e avrei giurato che fosse lo stesso che indossava l'uomo dai capelli d'argento. La mia borsa era a terra, accanto a me. La strana sensazione che a qualcuno fosse importato abbastanza da salvarmi mi era estranea. Ero sempre stata sola, nessuno era mai venuto in mio aiuto. Allo stesso tempo, però, non ero esattamente dell'umore giusto per vedermi come una specie di eroina indifesa.

«A quanto pare il mio cavaliere dai capelli d'argento mi ha salvata, ma non si è preoccupato di portarmi al suo castello... Almeno si è assicurato che i miei soldi e i miei documenti fossero al sicuro» mormorai tra me e me con amarezza.

Sdraiata sulla panchina, cercai di raccogliere le forze. Gli eventi della notte precedente erano confusi, la mente ancora annebbiata dalla droga. La testa mi martellava per i postumi che mi aveva lasciato e il sole nascente non mi stava aiutando per niente. In quel momento, avrei venduto l'anima per degli antidolorifici. Ma non c'era tempo per l'autocommiserazione: in quella città non ero al sicuro.

Dovevo controllare il luogo dell'attacco. Forse avrei trovato un indizio, qualcosa che potesse spiegare cosa fosse successo. Con grande sforzo, riuscii a rimettermi in piedi. L'aria del mattino era gelida, così mi avvolsi nel cappotto dell'uomo dai capelli d'argento. Era morbido, caldo e sorprendentemente comodo, anche se le maniche erano troppo lunghe e dovetti arrotolarle. Il cappotto mi arrivava quasi alle caviglie ma, nonostante la lunghezza, mi stava meglio di quanto mi aspettassi.

Mi diressi verso il punto dello scontro. Quando arrivai, mi si strinse lo stomaco. Il posto era completamente vuoto. Niente corpi, niente macchie di sangue, nemmeno il più flebile segno di una lotta. Un'ondata d'ansia mi travolse.

«Ma chi diavolo era quello?» I miei pensieri correvano all'impazzata.

Se ci fosse stata una prova che i lupi erano stati uccisi, forse avrei provato un po' di sollievo. Ma non era rimasto nulla. Se non erano morti, Merrick e i suoi uomini avrebbero probabilmente mandato rinforzi a cercarmi. E se lo avevano già fatto… il mio tempo stava per scadere.

Mi guardai di nuovo intorno, arrivando persino a inginocchiarmi per toccare la terra, annusandomi la mano in cerca di tracce di sangue o di qualcosa — qualsiasi cosa — fuori posto. Ma non c'era niente. Poteva significare solo una cosa: i lupi erano ancora vivi. Anche se l'uomo dai capelli d'argento aveva rotto loro le ossa, sarebbero guariti in fretta, più in fretta di quanto io potessi scappare. Sarebbero tornati.

Imprecai a bassa voce e mi affrettai a tornare al mio appartamento, controllando di continuo alle mie spalle. Feci le valigie — vestiti, quattro set di documenti falsi, il mio portatile — e me ne andai, lasciando un biglietto veloce per il padrone di casa con i soldi dell'affitto sul tavolo.

Non mi presi nemmeno la briga di ritirare il mio ultimo stipendio da Frost. La stazione dei treni era la mia prossima fermata. Ritirai i contanti dalla cassetta di sicurezza, scelsi una destinazione a caso e comprai un biglietto. Dire addio a Thornmere in quel modo non era l'ideale, ma per me non era una novità. Lasciarsi tutto alle spalle era diventata un'abitudine.

Il treno lasciò la stazione e, per la prima volta dopo un'eternità, riuscii a respirare. La mia mente ebbe finalmente lo spazio per elaborare gli eventi. Speravo che Merrick e i suoi uomini non fiutassero la mia traccia, anche se, a proposito di tracce, indossavo ancora il cappotto dell'uomo dai capelli d'argento. Feci un sorrisetto e annusai il colletto. Aveva un profumo maschile, leggero e piacevole.

«Ma sei seria?! Non è il momento di fare certi pensieri!» mi rimproverai.

«E poi, è pericoloso...»

Eppure, non riuscivo a smettere di pensare a come avesse sconfitto tutti i lupi da solo. Che fosse anche lui una specie di creatura soprannaturale? Un super lupo mannaro? O qualcosa di completamente diverso? La mia mente era un vortice di domande.

Io ero umana, ma sapevo da tempo dell'esistenza dei mutaforma, esseri che gli umani chiamavano licantropi. Avevano sensi più acuti di qualsiasi essere umano, erano molto più forti e potevano trasformarsi in lupi. Da quando avevo cinque anni, avevo imparato a combatterli, ma non era mai stata una lotta ad armi pari. Non avevo mai visto nessuno affrontare un licantropo... fino a quella notte.

«Chi era?» non smettevo di chiedermi. «Non era un semplice umano. Che forza possedeva? E perché mi ha aiutata?»

Ci sarebbero voluti tre anni prima che ottenessi una risposta a quelle domande.

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