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Stringevo nervosamente il telefono dello sconosciuto, con il suono del segnale di chiamata che mi rimbombava nell'orecchio. Dopo quella che parve un'eternità, finalmente qualcuno rispose.

«Padrone?! Dove siete?! Stanno tutti cercando Sua Altezza!» La voce dall'altro capo del telefono era frenetica.

«Ehm... p-pronto?» balbettai, incerta.

«Chi parla?» Il tono cambiò all'istante, diventando secco e autoritario. «Come ha preso il telefono del padrone?» ringhiò l'uomo.

«Sto... parlando con Gareth?» domandai, ma il silenzio che seguì mi fece subito capire quanto suonasse stupida la mia domanda. «Il suo... amico... padrone o chiunque sia, ha avuto un incidente d'auto. L'ho trovato io. Mi ha detto di non chiamare un'ambulanza, ma di chiamare lei...» buttai fuori, cercando di spiegare come meglio potevo, con la voce che tremava.

Gareth rimase in silenzio per un lungo istante. Controllai persino che non avesse riattaccato.

«P-pronto?» chiesi, sentendo la tensione crescere.

«Ho localizzato il telefono. Resti lì. Arriviamo tra venti minuti, al massimo.» La sua voce era gelida, poi la linea cadde.

Avrei voluto protestare, ma tutto ciò che riuscii a emettere fu un respiro frustrato mentre la chiamata si concludeva con un clic definitivo.

«Ma scherziamo?! Niente "per favore, aspetti" o "grazie per avermi chiamato"?! Ma chi si crede di essere?» borbottai, oltremodo seccata.

Lanciai un'occhiata alla macchina, all'uomo dai capelli d'argento accasciato privo di sensi all'interno. La frustrazione non fece che aumentare. L'idea di chiamare un certo "Gareth" invece di un'ambulanza mi sembrava una follia pura.

E l'uomo nell'auto... sembrava già morto.

"E se questo Gareth arriva e dà la colpa a me per la morte del suo 'padrone'?" pensai, mentre il panico si faceva strada.

Con una reazione istintiva, decisi di provare almeno a tirarlo fuori dall'auto per fargli la rianimazione cardiopolmonare. Per quanto quel Gareth volesse evitare l'ospedale, lasciare morire qualcuno senza nemmeno tentare di salvarlo mi sembrava sbagliato.

Tornai di corsa alla macchina e aprii di scatto la portiera. Con un certo sforzo, cominciai a trascinare fuori il corpo svenuto dell'uomo, controllando se ci fossero ferite gravi. Il sangue gli si stava raccogliendo intorno al naso e alla bocca, ma non sembrava esserci nulla di più serio. Notai però qualcosa di strano: del sangue sotto le unghie.

"Che diavolo?! È malato o cosa?!" I miei pensieri si rincorrevano mentre continuavo a tirarlo fuori dall'auto.

Una volta che riuscii a stenderlo a terra sul ciglio della strada, gli guardai il viso. Era mozzafiato: troppo perfetto, quasi angelico. I suoi lineamenti affilati e i capelli argentati gli davano l'aria di qualcuno che non apparteneva a questo mondo. Indossava un abito nero di taglio impeccabile, che lo rendeva ancora più... affascinante.

"E se controllassi se ha ferite sotto la camicia?" mi chiesi, con una strana esitazione che mi bloccava il petto.

Mi diedi uno schiaffo mentale. "Concentrati, Thalassa!" mi rimproverai, cercando di scacciare l'assurdità di quel pensiero.

Invece, allungai la mano verso il suo collo per sentirgli il polso. Le mani mi tremavano per ragioni che non riuscivo a spiegarmi. Era la sua presenza? O qualcos'altro? Mentre le mie dita premevano delicatamente sul lato del suo collo, sentii la sua pelle fredda. Troppo fredda. La sua temperatura corporea sembrava anormalmente bassa.

Poi notai il suo polso. Era debole, lento, innaturalmente lento. Mentre contavo, mi resi conto che era molto al di sotto della norma, meno di venti battiti al minuto.

Un turbine di pensieri mi inondò la mente.

"Dovrei fargli la rianimazione solo perché ha il cuore lento? È in una specie di stato di ibernazione? E se il suo corpo fosse semplicemente freddo? Dovrei prima riscaldarlo?"

Improvvisamente, vidi qualcosa di ancora più bizzarro: delle linee blu, sottili e luminose, che si disegnavano sotto la sua pelle seguendo il percorso di vene e arterie. La curiosità ebbe la meglio e gli sbottonai la camicia. Le linee erano più visibili sul petto, segnando ogni suo vaso sanguigno con una precisione inquietante. Quello non era solo il risultato di un incidente. Sembrava... una malattia.

Deglutii a fatica. «Che cosa gli sta succedendo? È contagioso?» Nonostante l'allarme crescente, persisteva una strana sensazione di attrazione. La mia mano esitò sul suo petto e, senza pensarci, feci scorrere un dito lungo la strana linea blu sulla sua giugulare.

Nel momento in cui mi resi conto di ciò che stavo facendo, ritrassi la mano di scatto. «Thalassa, datti una calmata!» mi rimproverai mentalmente, imbarazzata.

Gli riabbottonai in fretta la camicia e gli gettai addosso la giacca, non solo per coprirlo, ma anche per evitare altro imbarazzo. Mi dissi che era per tenerlo al caldo.

Proprio in quel momento, dei fari squarciarono la notte, accecandomi. Si stavano avvicinando tre veicoli: una limousine, un furgone di grandi dimensioni e una bisarca, tutti neri, con le luci che tagliavano violente la strada buia.

La limousine si fermò proprio accanto a noi. Le altre due auto la seguirono, parcheggiando dietro. Dalle vetture emersero uomini in abiti neri, i cui movimenti erano rapidi ed efficienti, come quelli di una squadra ben addestrata. Mi ignorarono completamente, concentrandosi solo sull'uomo dai capelli d'argento steso a terra. Con le valigette in mano, si affrettarono verso di lui, mentre altri si disperdevano per mettere in sicurezza l'area.

Cercai di sbirciare per capire cosa stessero facendo, ma uno di loro si mise di fronte a me, bloccandomi la visuale.

«È lei la persona con cui ho parlato al telefono?» mi chiese freddamente.

«Io... credo di sì. Lei è Gareth, giusto?» balbettai, sforzandomi di abbozzare un sorriso nervoso.

Lui si avvicinò, con una postura elegante, quasi aristocratica. La pelle pallida e i capelli castano scuro meticolosamente pettinati gli conferivano un'aria sofisticata, ma il suo sguardo intenso mi metteva a disagio.

«Il mio nome è Gareth Larkspur. Le sarei grato se si rivolgesse a me in modo appropriato» disse, con una voce che era un sibilo velenoso. «Ora, vorrebbe presentarsi, signorina?»

La sua arroganza mi fece pulsare le tempie. Riuscii a malapena a stirare le labbra in un sorriso impacciato, trattenendo l'irritazione che mi ribolliva dentro.

«Mi chiamo Thalassa Halloway... signor Larkspur» mi sforzai di dire.

«Halloway? Come Alaric Halloway?» Fece un sorrisetto sprezzante, con la voce venata di scherno.

«Sì. C'è qualche problema?» sbottai, irritata.

«Niente affatto, signorina Halloway» rispose, soffermando lo sguardo su di me un attimo di troppo.

Un'ondata di inquietudine mi travolse. Come faceva a sapere che il mio nome era falso? Come aveva fatto a capirlo così in fretta?

Decisi di cambiare argomento prima di farmi prendere dal panico.

«Lui... starà bene?» chiesi, indicando con un cenno l'uomo dai capelli d'argento e sporgendomi per sbirciare oltre la sua spalla.

Gareth si spostò di lato, bloccandomi di nuovo la vista. «Le condizioni del Padrone miglioreranno non appena avrà la sua medicina» affermò seccamente, con una nota di fastidio che si insinuava nella sua voce.

«Di che tipo di medicina stiamo parlando?» insistetti, cercando di provocarlo.

«La cosa non la riguarda, signorina Halloway» sbottò lui.

«Beh, in un certo senso sì» replicai, fissandolo dritto negli occhi. «Il suo malore non è stato causato dall'incidente. È malato. Se fosse qualcosa di contagioso, non sarebbe meglio che lo sapessi anch'io?»

«Oh, non si preoccupi» ridacchiò Gareth, gelido. «La condizione del Padrone non si trasmette facilmente.»

«Davvero? E allora di cosa si tratta?» incalzai, non disposta a mollare.

Gareth sospirò profondamente, il fastidio nella sua voce era palpabile. «È stato avvelenato. E grazie a lei, siamo riusciti ad arrivare in tempo per salvarlo.»

«È il peggior "grazie" che abbia mai sentito» borbottai a mezza voce.

«Non si preoccupi. Sono certo che il Padrone la ricompenserà appena si sveglierà. Un assegno, immagino, sarà più che soddisfacente» aggiunse con un pizzico di condiscendenza.

«Non ce n'è bisogno» risposi secca. «Il suo padrone mi ha salvato la vita una volta. Sto solo restituendo il favore.»

Gli occhi di Gareth si spalancarono e lui si chinò verso di me, improvvisamente curioso. «Come ha conosciuto il Padrone in precedenza?» chiese, con la voce venata di una sfumatura inquietante.

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