Capitolo 4

Sia quell'uomo che le sue orecchie dovevano per forza starle giocando un brutto scherzo. E uno di pessimo gusto, oltretutto. Come poteva aver vissuto ventiquattro anni senza una madre e, all'improvviso, averne una? Da qualunque prospettiva cercasse di guardare la situazione, non aveva alcun senso.

«Non dice niente, signorina Marlowe» osservò Daniel, e Vivienne sbuffò incredula.

«Lei è un trafficante d'organi?» chiese, perché quella sembrava l'unica spiegazione realistica a tutto quel casino.

«Come? Non capisco bene a cosa alluda, signorina» disse lui, inarcando un sopracciglio perplesso.

«Lei prende di mira donne vulnerabili e le abborda con questa sua bugia da quattro soldi, le attira in un luogo sconosciuto, le uccide e poi espianta i loro organi, non è così?» ringhiò lei. «Mi dica, da quanto tempo raccoglie informazioni su di me?»

«Non faccio nulla del genere, signorina» disse lui, facendole scivolare un biglietto da visita sul tavolo. Controvoglia, Vivienne lo prese e rimase a bocca aperta quando vide che era il proprietario di una grande catena di ristoranti in Canada e a Londra.

Quando era a Londra, lei e Magnus frequentavano spesso l'OB Restaurant durante le sue pause pranzo. Il locale era riservato a una clientela facoltosa e di enorme ricchezza; il piatto meno costoso del menù veniva poco meno di mille dollari. Adesso, era certa che il prezzo sarebbe aumentato drasticamente.

«Mi scusi per averla accusata, allora» si scusò, restituendogli il biglietto. Lui sorrise.

«Non deve scusarsi, signorina. Mi aspettavo una reazione del genere» disse.

«Quindi avrei una madre, eh?» sbuffò lei. Anche se credeva che fosse l'amministratore delegato dell'OB, faticava ancora a credere all'altra sua affermazione.

«Sì. Le piacerebbe vedere una sua foto?» chiese lui, e lei annuì, sebbene ancora scettica. Daniel annuì a sua volta, posò la valigetta sul tavolo, la aprì e tirò fuori una fotografia che le porse. Alla vista dell'immagine della sua presunta madre, la mascella le si rilassò per lo stupore. Nella foto, la donna indossava un semplice prendisole giallo e aveva un sorriso radioso stampato sul volto.

Era come guardarsi direttamente allo specchio. Incredibile. L'unica differenza era che, mentre Vivienne aveva i capelli ramati, sua madre li aveva neri.

«Non... non so nemmeno cosa dire» confessò sinceramente, posando la foto sul tavolo. Era surreale. Aveva davvero una madre.

Mentre fissava il vuoto alle spalle dell'uomo, una miriade di domande ed emozioni le attanagliarono il cuore. «Sono quindici anni che la cerchiamo» rivelò Daniel, e Vivienne non poté fare a meno di rabbuiarsi.

Dov'era sua madre in tutti quegli anni in cui lei aveva sofferto l'orrore del suo matrimonio? Dov'era alle medie, quando la bullizzavano perché era un'orfana? Dov'era il giorno del suo esame di ammissione all'università per farle il tifo? Dov'era stata durante i periodi più importanti della sua vita?

«Quindi mi ha abbandonata, vero?» sbottò Vivienne.

L'uomo scosse la testa. «No, la Signora non lo farebbe mai. Comunque, è lei la persona più indicata per rispondere a tutte le sue domande.»

«Bene, perché ne ho parecchie per lei» replicò. «A proposito, dov'è?»

«In Canada» rispose lui.

Vivienne si mordicchiò il labbro inferiore mentre rimuginava sulla risposta. Seguendolo, avrebbe messo in pericolo se stessa e il bambino che portava in grembo? E come poteva essere sicura che quel biglietto da visita non fosse falso? D'altra parte, però, una vocina nella sua testa le suggerì che l'uomo emanava un'aura di raffinatezza e, in più, non era come se avesse un altro posto dove andare. Poteva solo sperare per il meglio.

«Come ci arriveremo?» chiese. «Ha già prenotato i biglietti aerei?»

«Non ce ne sarà bisogno, signorina. Andremo in Canada con il jet privato della Signora» rispose lui, e lei annuì.

«Allora...» cominciò Vivienne, poco dopo, mentre Daniel li guidava verso l'hangar dell'aeroporto.

«Sono tutt'orecchi, signorina» disse lui.

«Prima ha detto che quella donna è malata. Che tipo di malattia ha?»

«Un cancro ovarico terminale» rivelò lui. Vivienne sussultò, sconvolta. Allora non le restava davvero molto tempo da vivere.

«Esatto» confermò Daniel. Solo in quel momento Vivienne si rese conto di aver pensato ad alta voce.

Fantastico. Stava finalmente per riunirsi con sua madre, e questa aveva una malattia terminale. L'universo doveva proprio odiarla.

«A proposito, lei che rapporto ha con lei?» chiese. «È il suo amante o cosa?»

«Certo che no» rispose lui. «Sono il suo assistente e segretario.»

«Va bene, allora» disse lei.

Circa un’ora dopo, arrivarono all’hangar e Vivienne vide il jet privato. Era un aereo enorme con la sigla “OB” impressa sopra. Salirono a bordo e partirono per il Canada. Per fortuna, non ebbe la nausea quando l’aereo si sollevò in aria.

Atterrarono in Canada quattro ore più tardi, di sera. La casa della donna — anzi, la villa — era qualcosa di sbalorditivo. Proprio come quella di Magnus, era un edificio di quattro piani. Tuttavia, al posto del design architettonico moderno della sua dimora, quella della donna era in un classico stile vintage, con mattoni rossi e una splendida fontana scolpita a forma di pianoforte.

Quando entrarono nella villa, un arredamento interno ancora più strabiliante le si parò davanti agli occhi. C’era un pianoforte d’epoca sotto le scale, con varie cornici di uomini e donne dell’era vittoriana. Sebbene la casa fosse sfarzosa, sembrava senz’anima.

«Non ha domestici?» chiese Vivienne, e la sua voce echeggiò per la stanza.

«No» rispose Daniel. «Vorrebbe incontrarla ora o dopo aver fatto una doccia?»

«Ora, per favore» disse lei, e lui annuì.

Salirono al piano di sopra e si fermarono davanti alla prima stanza nell’ala sinistra del corridoio. Lui bussò delicatamente tre volte prima di aprire la porta e le fece cenno di entrare nella stanza debolmente illuminata. Una persona, che presumeva fosse sua madre, era su una sedia a rotelle, di spalle.

«È qui, signora. L’ho finalmente trovata» disse Daniel, e la donna si girò di scatto. Vivienne non poté trattenere un sussulto quando finalmente vide sua madre. A differenza della foto, sembrava vecchia e malata.

Indossava un vaporoso abito rosa e aveva la testa coperta da un berretto di lana fin troppo grande. Sulle ginocchia aveva una coperta rossa lavorata a maglia, che sembrava consumata dal tempo. Aveva una cannula nasale nelle narici, e il viso e le labbra erano di un pallore mortale.

«Ti faccio paura?» ridacchiò la donna; un suono roco che spezzò il cuore a Vivienne.

«Sarò qui fuori, signora» disse Daniel, facendo un inchino prima di andarsene.

Le mani di Vivienne tremavano per un misto di emozioni che andavano dal timore e la tristezza alla rabbia. Per quanto volesse essere furiosa con sua madre, non ci riusciva.

«Mi hai abbandonata?» chiese Vivienne.

«Sì e no» rispose la donna. «Vedi, è una lunga storia, ma te la riassumerò.»

«Grazie» disse Vivienne.

«Ma ti prego, siediti» disse sua madre. «Devi essere stanca per il viaggio.»

«Certo» mormorò Vivienne, sedendosi sul divano di fronte a lei.

«Mi chiamo Olivia Blake» esordì la madre, e per l’ennesima volta quel giorno, Vivienne sussultò. «Esatto. Ho scritto il tuo nome e l’ho nascosto nella scatola. Non sapevo nemmeno che le istitutrici ti avrebbero chiamata così» rivelò Olivia. «Pensavo che l’avrebbero gettato nel cestino.

Comunque, tornando alla storia. Ho conosciuto tuo padre a sedici anni. Lui ne aveva diciotto ed era il figlio del nuovo chef della mia famiglia, all’epoca. Per entrambi fu amore a prima vista» sorrise. «Lascia che faccia una piccola digressione per dirti che è morto. È morto qualche anno fa in un incidente d’auto.»

Anche se Vivienne non l’aveva mai conosciuto, non poté fare a meno di rattristarsi alla notizia. Sua madre, d’altro canto, sembrava leggermente irritata. «Era un codardo, comunque, quindi non mi importa di lui. Ad ogni modo, rimasi incinta a diciannove anni e lui, preso dal panico, scappò, lasciandoci sole.

I miei genitori mi permisero di tenerti, ma a una condizione: che ti dessi in adozione.» Olivia le tese le mani e Vivienne le prese, facendo sorridere sua madre. «Ingenuamente, accettai le loro condizioni e mi iscrissi all’università per studiare medicina. Il mio piano era diventare una dottoressa di successo, cercarti e riportarti nella mia vita. Ma diciamo solo che è stato più difficile di quanto pensassi» disse Olivia, e Vivienne le strinse teneramente le mani.

«Dieci anni fa mi è stato diagnosticato un cancro al seno, che ho curato. Cinque anni fa, è tornato con una forza ancora maggiore e ha dato metastasi alle ovaie» rivelò Olivia. «Ora, i medici dicono che mi resta meno di un anno di vita. Ma adesso che ti ho vista, farò di tutto per combatterlo.»

«Oh, mamma» sbottò Vivienne, mentre le lacrime le rigavano le guance.

«Mamma» sorrise Olivia, con gli occhi lucidi di pianto. «Non avrei mai pensato di sentirti chiamarmi così. Sono così felice, figlia mia. Non hai idea.»

Quella notte, madre e figlia dormirono insieme nella sua camera da letto, aggrappate l’una all’altra, come per recuperare gli anni perduti.

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