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CAPITOLO 5

IL PUNTO DI VISTA DI ANNA

Dopo un mese di intenso lavoro e dedizione, uscii vittoriosa dal periodo di prova nel mio lavoro in pasticceria. Mentre stavo dietro al bancone a sistemare una vetrina di dolci da far venire l'acquolina in bocca, un'ondata di orgoglio mi pervase. Era solo un passo verso la realizzazione dei miei sogni, sostenuta da una famiglia amorevole e dalla mia gentile datrice di lavoro, la signora Betty.

«Congratulazioni, Anna!» esclamò la signora Betty, avvicinandosi a me con gli occhi pieni di orgoglio ed entusiasmo. «Ci hai davvero colpiti con il tuo talento e la tua dedizione. Siamo felicissimi di darti ufficialmente il benvenuto nella nostra squadra. Congratulazioni, tesoro» disse, e mi abbracciò.

«Grazie mille, signora Betty, non sa quanto io sia felice di sentirlo». Mi stavano venendo le lacrime agli occhi.

«Non solo, cara, sei una vera risorsa per la nostra squadra. La tua creatività è eccezionale e la tua etica del lavoro è dinamica» aggiunse.

«Sono così felice che mi abbia dato una possibilità, e sono entusiasta di lavorare qui» le dissi sinceramente.

Quella sera stessa, durante la cena, condivisi con entusiasmo la bella notizia con la mia famiglia. I loro volti si illuminarono di orgoglio e felicità, mentre si congratulavano con me per questo primo traguardo.

Mamma era così sopraffatta dalla gioia che mi strinse in un caloroso abbraccio. «Hai lavorato così duramente per questo momento e te lo meriti. Saremo sempre qui a fare il tifo per te e a sostenerti in ogni passo o percorso che intraprenderai».

Alma, la mia pazza e bellissima sorella gemella, brindò a me con un bicchiere d'acqua. «A Sarah, la nuova pasticciera della città! Sapevo che ce l'avevi dentro» mi disse.

«Tesoro, congratulazioni. Prima o poi dovrai darci un assaggio delle tue delizie» aggiunse papà, e scoppiammo tutti a ridere.

Le nostre risate riempirono la stanza. Festeggiammo tutti insieme il mio successo, e io ero felice di condividere quel momento con la mia famiglia.

Nei giorni che seguirono, mi dedicai al mio ruolo in pasticceria con rinnovata passione e determinazione. A ogni turno diventavo più brava e, con la mia personalità vivace, davo consigli ai clienti.

Un pomeriggio, mentre stavo decorando meticolosamente una serie di cupcake per la consegna di un cliente, mi squillò il telefono. Sullo schermo comparve il nome di mamma.

«Mamma, che succede? Non mi chiami mai a quest'ora» dissi subito.

«Volevo solo sapere se hai sentito tua sorella. Stanotte non è tornata a casa» mi disse.

«Ok, sta' calma. Vado a controllare da lei al lavoro» la rassicurai.

«Tienimi aggiornata, mija, d'accordo?» mi disse mamma.

Finito il mio turno in pasticceria, provai a contattare Alma, ma scattò subito la segreteria telefonica. A quel punto iniziai a spaventarmi. Trovai l'indirizzo del suo posto di lavoro sul telefono, perché non volevo perderlo. Salii su un taxi, diedi l'indirizzo all'autista e lui mi portò dritta a destinazione. Non era affatto come me l'ero immaginato: era un night club. Mi maledissi per non essere venuta prima e per non aver impedito ad Alma di lavorare in quel posto squallido.

Entrai nel locale, dopo aver superato il controllo di sicurezza all'ingresso, con il buttafuori che mi lanciava occhiate strane e lascive. Una volta dentro, fui accolta da un odore di sigarette, alcol e sudore che impregnava l'aria. Mi addentrai tra la folla, in mezzo a corpi sudati e aliti puzzolenti. Come faceva Alma a frequentare un posto del genere? Era disgustoso e soffocante.

Mi guardai intorno, cercando di scorgere mia sorella, ma non la trovai. Notai però una donna vestita in modo succinto che mi fissava dal bancone del bar e mi avvicinai a lei; forse sapeva qualcosa di mia sorella.

«Mi scusi, signorina, sto cercando mia sorella», le chiesi.

«Tu non sei Alma, perché se lo fossi, sapresti che dovresti essere lassù a ballare». Indicò un palco con un palo al centro.

«È mia sorella. E perché mai dovrebbe ballare lassù?», domandai, sorpresa.

«Era la nostra ballerina migliore e aveva un sacco di clienti disposti a fare qualsiasi cosa per lei», disse, sorseggiando il suo drink.

«Alma non farebbe mai una cosa del genere. La sto cercando. Sa per caso dov'è?», le chiesi speranzosa.

«Non lo so, ragazza. Devo riposarmi dopo aver ballato tanto. Prova a vedere nel suo appartamento, potrebbe essere lì», aggiunse, sistemandosi il top.

«Mi scusi, ma noi viviamo a casa, non ha nessun appartamento. Forse la sta confondendo con qualcun altro», le dissi.

«Senti, tua sorella faceva la spogliarellista qui e andava a letto con i mariti delle altre per soldi. Se è scomparsa, controlla nel suo appartamento e, se non la trovi lì, forse le donne a cui ha pestato i piedi hanno davvero messo in atto le loro minacce», disse alzandosi in piedi.

«Va bene, signorina. Non so dove sia l'appartamento, può aiutarmi?», le chiesi.

Mi portò in un camerino, dicendo che un'amica di mia sorella avrebbe potuto conoscere l'indirizzo. In effetti ce l'aveva, e così mi diressi verso quel posto, sperando di trovare mia sorella. Continuai a chiamarla, ma nessuna risposta, solo una sfilza di messaggi in segreteria.

Arrivai all'appartamento. Era già notte, ed ero stanca e affamata. Speravo di trovare Alma e di dirgliene quattro. Il palazzo di fronte a me era tutt'altro che semplice: lussuoso dall'esterno, e di sicuro l'interno doveva essere ancora più costoso. Cominciavo a pensare che quello che mi aveva detto quella donna fosse vero. Raggiunsi il suo appartamento, ma la porta era chiusa a chiave. Bussai senza ricevere risposta, così scesi nella hall in cerca di qualcuno che potesse aiutarmi a entrare; avevo paura che Alma fosse dentro, svenuta o chissà cos'altro.

Entrai e rimasi a bocca aperta per lo splendore dell'appartamento. Come poteva mia sorella permettersi una casa del genere? Mi guardai intorno: nessuna traccia di Alma. La paura cominciò a farsi strada. Controllai ovunque, ma non trovai né lei né il suo telefono. Dove poteva essere? Entrai nel suo bagno e vidi un test di gravidanza. Era positivo. Era incinta e non mi aveva detto niente. Diedi un'occhiata al suo guardaroba, sperando di trovarci qualcosa. Vidi solo un telefono strano e lo presi. Non mi veniva in mente nessun posto dove potesse essere andata, assolutamente nessuno. Proprio mentre stavo per chiamare la polizia, notai un biglietto da visita sul comò con il nome "Noah Wilder". Lo presi e proseguii con la telefonata. Denunciai la scomparsa di mia sorella e diedi loro l'indirizzo del suo appartamento.

Chiamai anche i miei genitori per dire che non riuscivo a trovare Alma. Dissi loro di raggiungermi alla stazione di polizia, dato che l'appartamento era ormai una scena del crimine. Partii per il commissariato, arrivai e aspettai che arrivassero anche loro.

Le scoperte fatte nell'appartamento mi stavano facendo impazzire, tanto che non mi accorsi dell'arrivo dei miei genitori. Ci avvicinammo tutti insieme al bancone per chiedere all'agente se sapessero qualcosa sulla scomparsa di mia sorella.

«Mi scusi, agente, avete qualche pista su dove si trovi mia figlia scomparsa?» chiese mia madre, frenetica, mentre papà le stringeva la mano.

«Ci stiamo lavorando. Non sono ancora passate ventiquattr'ore perché possa essere ufficialmente dichiarata scomparsa, ma stiamo facendo del nostro meglio per trovarla» ci rassicurò l'agente.

«Agente, ha bisogno di chiedermi qualcosa? Posso aiutarla in qualche modo?» gli domandai.

«Pensavo le avessero già fatto delle domande su sua sorella nell'appartamento» disse, guardandomi per tutto il tempo.

«Sì, ma forse si sono persi qualcosa» replicai.

«D'accordo, mi descriva sua sorella» disse con una punta di comprensione, prendendo un foglio bianco per annotare quello che avevo da dire.

«Allora, Alma è la mia gemella. Siamo identiche, a parte una voglia a forma di cuore che ha sulla spalla destra. È alta più o meno come me, ha gli occhi nocciola e lunghi capelli castani».

Mentre descrivevo mia sorella, sentii il mondo crollarmi addosso. Mi mancava il respiro. Faticai a mantenere la calma e dovetti ricacciare indietro le lacrime.

L'agente annotò le informazioni che gli avevo fornito, con un'espressione indecifrabile. «Quando è stata l'ultima volta che ha visto sua sorella?» mi chiese.

La mia mente faticava a ricordare gli eventi che avevano preceduto la sua scomparsa. «Un giorno fa. Mi ha detto che quella sera avrebbe lavorato e che sarebbe tornata la mattina dopo» dissi con un filo di voce. «Abbiamo fatto colazione insieme quella mattina, poi è uscita per andare al lavoro e da allora non l'ho più vista né sentita».

L'agente mi fece altre domande a cui risposi, per poi passare ai miei genitori, ai quali pose domande simili. Ogni loro risposta mi faceva percepire ancora più forte l'assenza e il vuoto che sentivo dalla sua scomparsa.

Col passare delle ore, la stanchezza e la fame cominciarono a farsi sentire pesantemente, ma conservavo un barlume di speranza che Alma sarebbe stata ritrovata presto.

Finalmente, dopo che fu registrata l'ultima dichiarazione e apposta la nostra firma sulla linea tratteggiata, l'agente si alzò, con un'espressione seria ma risoluta. «Faremo tutto ciò che è in nostro potere per trovare vostra sorella» ci assicurò con fermezza. In quel momento, le sue parole furono di grande conforto.

Quando lasciammo la stazione di polizia, il peso del nostro problema sembrava più leggero, perché sapevo che l'avrebbero trovata in men che non si dica. Trovammo conforto e sollievo nel sostegno che ci davamo a vicenda. Ero sicura che avrei rivisto Alma presto.

Avevo riposto malamente la mia fiducia nella polizia, oppure mia sorella era semplicemente troppo difficile da trovare, perché erano passate due settimane e non avevano scoperto nulla che potesse farci credere che stessero facendo progressi. Ero così frustrata che mi ero persino dimenticata di quello che avevo trovato nell'appartamento di Alma. Ora dovevo esaminarlo con più attenzione. Pensavo che la polizia l'avrebbe trovato, ma niente da fare. A questo punto, sarei stata io a trovare mia sorella. Mi ricordai del telefono, del biglietto da visita e anche del test di gravidanza. Farò tutto da sola. Immaginavo che il telefono non sarebbe stato di grande aiuto, c'era solo un contatto: Mr. X. Sono sicura che Mr. X e Noah Wilder debbano sapere qualcosa sulla scomparsa di mia sorella. Così presi il biglietto e chiamai il numero indicato.

Mi sedetti sul letto, cercando di mettermi comoda. Ero sola in casa, dato che i miei genitori erano andati alla stazione di polizia. Ultimamente le nostre vite erano così: andare in commissariato sperando che avessero novità. Le mani mi tremavano mentre componevo il numero sul biglietto da visita. L'attesa e l'ansia crescevano a ogni squillo. Finalmente qualcuno rispose e una voce dall'altro capo del telefono mi riportò bruscamente alla realtà.

«Ufficio di Noah Wilder, come posso aiutarla?» La voce era suadente, impeccabile e professionale. Doveva essere la segretaria.

Facendomi coraggio, parlai con un tono privo di qualsiasi timore o ansia. «Sono Anna Lima. Ho trovato questo biglietto da visita del signor Noah Wilder. Ho bisogno di vederlo urgentemente.»

Dall'altra parte della linea calò un attimo di silenzio, come se il tempo si fosse fermato. «Le serve un appuntamento. Oggi è molto impegnato.»

«Va bene, vorrei fissare un appuntamento per vederlo» dissi.

«Perfetto, allora la vedrò domani alle due del pomeriggio» disse la voce, e la chiamata terminò subito.

Domani. Domani avrei incontrato Noah Wilder, una persona di interesse nella scomparsa di mia sorella. Avrei avuto bisogno di tutta la sicurezza e la forza possibili. Non sarebbe stato facile affrontare un uomo così formidabile. Avevo fatto qualche ricerca su di lui: un ex modello diventato uomo d'affari. Sarei stata pronta per l'incontro. Avrei solo dovuto chiedere alla signora Betty un permesso per assentarmi, perché a quell'ora dovrei essere al lavoro.

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