Capitolo 4
Il punto di vista di Eleanor
Mi svegliai in un letto vuoto, con le lenzuola fredde accanto a me. Allungai una mano in cerca del calore di Derek, ma trovai solo il tessuto stropicciato. I ricordi della notte precedente mi inondarono la mente: il suo braccio che mi stringeva a sé, la sua mano sul mio seno, la reazione imbarazzante del mio corpo al suo tocco.
Era stato tutto un sogno? No, il debole profumo della sua colonia, ancora persistente sul cuscino, confermava che era stato reale.
Mi misi a sedere lentamente, chiedendomi se Derek si fosse pentito di quel momento di intimità. Non mi avrebbe sorpreso; mi aveva fatto capire fin troppo bene cosa pensasse del nostro matrimonio. Tre anni di obblighi, niente di più.
Con meno di due mesi rimasti sul nostro contratto, qualsiasi attrazione fisica tra noi era irrilevante: una semplice reazione biologica che non significava nulla.
Scostai le coperte, indossai la vestaglia e mi passai una mano tra i capelli arruffati. L'appartamento era silenzioso, ma non vuoto. Potevo percepire la presenza di Derek, un sottile cambiamento nell'aria che era mancato durante i suoi due anni a Londra.
Camminai a piedi nudi lungo il corridoio, seguendo il suono sommesso di una tastiera. Derek era seduto al tavolo da pranzo, con l'attenzione fissa sullo schermo del portatile. La sua vista – così a suo agio eppure così estraneo nel nostro spazio condiviso – mi provocò una fitta al petto.
«Buongiorno» dissi a bassa voce.
Derek alzò lo sguardo per un istante prima di riportarlo sullo schermo. «Giorno».
«Ti sei alzato presto» azzardai, cercando di sembrare disinvolta nonostante l'imbarazzo tra noi. «Vuoi un po' di caffè?»
«L'ho già fatto».
Infatti, la caffettiera era mezza vuota. Me ne versai una tazza, notando che Derek aveva usato la french press che avevo comprato durante la sua assenza, un piccolo lusso che mi ero concessa con i soldi della mia attività in crescita.
«Dov'è la signora Hughes?» chiese Derek all'improvviso. «Di solito a quest'ora ha già preparato la colazione».
Mi bloccai a metà sorso. «L'ho licenziata» risposi, mantenendo un tono di voce uniforme. «Circa un mese fa».
Derek finalmente sollevò lo sguardo dallo schermo, con un'espressione incredula. «Hai licenziato la nostra governante? Senza consultarmi?»
«Non eri qui per essere consultato» feci notare, sorprendendomi della mia stessa schiettezza. «E sì, l'ho licenziata. Da allora mi occupo io dell'appartamento».
La mascella di Derek si tese. «La signora Hughes lavora per la mia famiglia da anni. Mia madre non ne sarà contenta».
«Lo so» dissi, avvicinandomi al frigorifero. «Vuoi fare colazione? Posso preparare del french toast».
Derek sembrava voler aggiungere altro sulla signora Hughes, ma invece annuì seccamente. «Va bene».
Mi immersi nella preparazione della colazione, rompendo le uova in una ciotola e aggiungendo cannella e vaniglia, piccoli tocchi che trasformavano un semplice french toast in qualcosa di speciale. Mentre immergevo le fette di pane nella miscela, sentii gli occhi di Derek puntati su di me.
«Perché hai licenziato la signora Hughes?» chiese dopo un momento.
Mi concentrai sul mettere il pane nella padella calda, guardandolo sfrigolare. «Non andava bene».
«Andava benissimo per due generazioni di Wells» ribatté Derek.
Girai il toast, forse con più forza del necessario. «Beh, per me non andava bene».
Quando, qualche minuto dopo, misi il piatto davanti a Derek, lui aggrottò la fronte guardando quella colazione semplice. «Tutto qui? Solo french toast?»
Qualcosa in me si spezzò. «O così o niente».
Le parole mi uscirono di bocca prima che potessi fermarle: la sua stessa frase della sera prima, rigirata contro di lui. Mi immobilizzai, scioccata dalla mia stessa audacia. Derek sembrava altrettanto sorpreso, la forchetta sospesa a mezz'aria.
Aspettai la sua risposta tagliente, ma non arrivò mai. Invece, si limitò a tagliare il toast e a portarsene un boccone alla bocca, con un'espressione indecifrabile.
Un leggero fruscio proveniente da dietro il divano ruppe il silenzio teso. Derek alzò di scatto la testa. «Cos'è stato?»
Prima che potessi rispondere, un cucciolo di golden retriever fece irruzione sulla scena, sgommando con le zampette sul parquet mentre mi correva incontro con un entusiasmo sfrenato.
«Ma che diavolo?» Derek posò la forchetta con un rumore secco. «Da dove è saltato fuori?»
Mi chinai per prendere in braccio il cucciolo, che cercò subito di leccarmi la faccia. Risi mentre la sua linguetta rosa mi sfrecciava sulla guancia. «Lui è Sunny» dissi, senza riuscire a nascondere una nota di sfida nella voce. «L'ho trovato la settimana scorsa.»
Mi sedetti per terra, lasciando che Sunny mi si arrampicasse in grembo. Si rotolò sulla schiena, mostrandomi la pancia per farsi fare i grattini, mentre la coda batteva sul pavimento con pura gioia. Non potei fare a meno di sorridere mentre gli accarezzavo il pelo morbido e le sue zampette si agitavano giocosamente verso le mie mani.
L'espressione di Derek si incupì mentre osservava la scena. «Trovato dove, di preciso?»
«Fuori dal mio negozio di fiori a Newbury Street» spiegai, continuando ad accarezzare il cucciolo tutto eccitato. «Diluviava, e lui era rannicchiato sulla soglia, completamente fradicio e tremante. Non potevo lasciarlo lì.»
«Quindi hai portato un cane randagio in casa nostra?» La voce di Derek era gelida. «Boston è piena di rifugi per animali per situazioni del genere.»
«Non è più un randagio» replicai con fermezza, lasciando che Sunny mi mordicchiasse le dita per gioco. «L'ho già portato dal veterinario. Ha fatto tutti i vaccini e un controllo completo.»
Derek starnutì all'improvviso, e la sua espressione passò dal fastidio all'allarme. «Sono allergico ai cani. Lo sai.»
«Sei leggermente allergico» lo corressi. «E comunque non ci sei quasi mai.» Me ne pentii nell'istante stesso in cui pronunciai quelle parole. Ricordare a Derek la sua assenza non avrebbe certo aiutato la mia causa.
«Non è questo il punto» disse lui, alzandosi da tavola. «Non puoi prendere decisioni unilaterali e portare animali in casa nostra.»
«Casa nostra?» ripetei, mettendo giù il cucciolo. «Questa non sembra più casa nostra da un sacco di tempo, Derek. È stata casa mia, dove vivo da sola mentre tu sei a Londra a fare quello che ti pare... o a farti chi ti pare.»
Gli occhi di Derek lampeggiarono. «Non essere volgare, Eleanor. Non ti si addice.»
«E tu non far finta che ti importi di quello che succede in questo appartamento, visto che sei sparito per due anni» ribattei. «Sunny resta. Finché vivo qui, resta anche lui.»
Derek si avvicinò, la sua altezza mi costrinse a piegare la testa all'indietro per mantenere il contatto visivo. «Adesso mi dai degli ultimatum? Questa è nuova.»
«No» dissi a bassa voce. «Sto solo mettendo dei paletti. Una cosa che avrei dovuto fare molto tempo fa.»
Per un attimo, nessuno dei due parlò. Sunny guaì piano ai miei piedi, percependo la tensione. Alla fine, Derek fece un passo indietro, sistemandosi la cravatta.
«Devo andare alla riunione» disse, con voce controllata. «Ne parliamo più tardi.»
«Non c'è niente di cui parlare» risposi, chinandomi a riprendere in braccio Sunny.
Derek raccolse il portatile e la valigetta. «Mentre ero a Londra sei cambiata parecchio, Eleanor. Non sono sicuro che la cosa mi piaccia.»
Raddrizzai la schiena. «E credi che a me importi o no?» chiesi, sollevando un sopracciglio in segno di sfida.
Derek mi fissò per un istante, con un'espressione indecifrabile, prima di voltarsi verso la porta senza rispondere.
Lo seguii con Sunny in braccio, con l'intenzione di portarlo a fare una passeggiata appena Derek fosse uscito. Misi giù il cucciolo per infilarmi le scarpe, chinandomi ad allacciare le piccole fibbie delle mie ballerine.
Quando mi raddrizzai, sorpresi Derek che mi fissava, il suo sguardo che percorreva tutta la lunghezza del mio corpo con un interesse inconfondibile. Nell'istante in cui i nostri occhi si incrociarono, lui distolse subito lo sguardo, afferrando in fretta la maniglia della porta.
Mentre la porta si chiudeva alle sue spalle, non riuscii a reprimere una risatina. L'avevo colto, quello sguardo. Quello che cercava sempre di nascondere.
L'avevo sempre saputo, fin dall'inizio: Derek Wells poteva anche resistere al mio cuore, ma non avrebbe mai potuto resistere del tutto al mio corpo. Quella piccola vittoria, almeno, potevo godermela tutta.
