Capitolo 6

Il punto di vista di Eleanor

«Eleanor» ripeté Jonathan, con quel calore artefatto che riservava ai soci in affari piuttosto che alla famiglia. «Non sapevo che fossi qui. Dove vai di tutta fretta?»

La domanda rimase sospesa nell'aria mentre sentivo lo sguardo di Catherine sulla schiena e l'indifferenza studiata di Derek di fronte a me: tre membri della famiglia Wells che mi intrappolavano con la loro presenza collettiva, creando un invisibile triangolo di potere che sentivo stringersi attorno a me.

«Stavo giusto andando via» riuscii a dire, con la voce più ferma di quanto mi aspettassi. «Io e Catherine abbiamo finito di parlare.»

Jonathan inarcò leggermente le sopracciglia, lanciando un'occhiata alla moglie. «Parlare? Di cosa?»

Prima che Catherine potesse rispondere, il maggiordomo di lunga data della famiglia, il signor Winters, apparve sulla soglia.

«La cena è servita, signora Wells» annunciò con impeccabile formalità.

Catherine si alzò con grazia fluida. «Tempismo perfetto. Eleanor, ti unirai a noi per cena, naturalmente.»

Non era una domanda. Tre anni di matrimonio con Derek mi avevano insegnato che gli inviti della famiglia Wells erano raramente facoltativi. Eppure, esitai.

«Veramente avrei un impegno con…»

«Insisto» mi interruppe Catherine, con un sorriso che non le arrivava agli occhi. «Abbiamo così tante cose di cui parlare, specialmente ora che Derek è a casa.»

Derek, che era rimasto in silenzio da quando era entrato nella stanza, finalmente mi guardò dritto negli occhi. La sua espressione era indecifrabile, ma qualcosa nel suo sguardo fece morire la mia protesta sulle labbra.

«Grazie» concessi, sentendomi in trappola. «Sarò felice di restare.»

Il sorriso di Catherine si allargò, soddisfatto. «Meraviglioso. Jonathan, perché non mostri a Derek quella nuova acquisizione in biblioteca? Eleanor può aiutarmi a controllare gli ultimi preparativi per la cena.»

Conoscevo bene quella tattica: il modo di Catherine di separarci per impartire istruzioni individuali. Mentre Jonathan e Derek sparivano lungo il corridoio, Catherine si voltò verso di me con un'espressione più gelida.

«Non mi aspettavo di averti a cena stasera» disse a bassa voce. «Ma dato che sei qui, ti prego di ricordare che Derek è appena tornato da un lungo soggiorno all'estero. Manteniamo la conversazione piacevole ed evitiamo argomenti… controversi.»

L'avvertimento era chiaro: non menzionare l'imminente divorzio, non sfidare Derek, non creare problemi. Sii la Eleanor docile e riconoscente che si aspettavano.

«Capisco» risposi, mantenendo un'espressione neutra.

«Bene» annuì Catherine prima di incamminarsi verso la sala da pranzo. «La signora Hughes ci mancherà molto stasera, ma immagino che ce la caveremo anche senza di lei.»

La frecciatina era intenzionale, un modo per ricordarmi della mia trasgressione precedente. Seguii Catherine in silenzio, preparandomi a quella che si preannunciava una serata tesa.

Catherine mi disse di aspettare in biblioteca mentre lei supervisionava gli ultimi preparativi per la cena. La biblioteca dei Wells era imponente: due piani di volumi rilegati in pelle, scaffalature di quercia scura e un odore persistente di carta antica e colonia costosa. Jonathan se n'era già andato, ma Derek era rimasto, in piedi accanto alla finestra, di spalle.

Per un attimo presi in considerazione l'idea di sgattaiolare fuori, ma Derek parlò senza voltarsi.

«Perché sei qui?» La sua voce era fredda, distaccata. «Non ricordo di averti informata della cena di famiglia di stasera.»

Mi raddrizzai. «Tua madre mi ha chiamata questo pomeriggio. Voleva parlare della signora Hughes.»

A quel punto si voltò, con un sopracciglio alzato. «Ah, ecco di cosa si tratta. La governante che hai licenziato senza consultarmi.»

«Non sapevo di aver bisogno del tuo permesso per gestire il personale di casa» replicai, mantenendo un tono di voce uniforme. «Soprattutto considerando che sei stato assente negli ultimi due anni.»

Derek attraversò la stanza, avvicinandosi tanto che potei sentire il suo profumo: lo stesso che usava fin dai tempi dell'università, legnoso con note di bergamotto. «E mia madre cosa avrebbe detto, di preciso?»

«Non le ha fatto piacere. A quanto pare, la signora Hughes l'ha chiamata direttamente per lamentarsi.»

Derek rise, ma senza allegria. «Certo che l'ha fatto. Il personale di casa Wells è sempre stato più fedele ai miei genitori che a chiunque altro.» Socchiuse leggermente gli occhi. «Allora, quale terribile reato avrebbe commesso la signora Hughes per meritarsi il licenziamento?»

Esitai, poco disposta ad ammettere quanto mi avessero ferita i pettegolezzi della governante. «Ha superato il limite. Ti basti questo.»

«Superato il limite» ripeté lui, con tono beffardo. «Beh, dubito che importi ormai. Sono sicuro che mia madre l'ha già riassunta. Anzi, sono certo che quando ti ha convocata, la signora Hughes aveva già usato la chiave di riserva per aprire la porta del nostro appartamento e stava già iniziando a fare le pulizie. Lo status lavorativo del personale di casa Wells è sempre stato incredibilmente fluido, a seconda dell'ultimo membro della famiglia con cui parlano.»

Le sue parole erano dolorosamente vere. Non avevo alcuna autorità reale in casa Wells, non l'avevo mai avuta. Persino nel nostro appartamento, probabilmente il personale mi considerava temporanea, proprio come la mia posizione di moglie di Derek.

Lui si avvicinò ancora, abbassando lo sguardo sul mio collo. «Lo porti ancora?»

La mano mi corse istintivamente a toccare il ciondolo d'argento a forma di stella, il regalo di nozze che mi aveva fatto tre anni prima. La piccola stella pendeva da una catenina delicata e la sua superficie catturava la luce calda della biblioteca.

«Sì» risposi semplicemente, incerta su cos'altro dire.

Le dita di Derek si allungarono e sfiorarono il ciondolo nel punto in cui poggiava sulla mia pelle. Fece un altro passo, il suo corpo quasi premuto contro il mio mentre si chinava. I polpastrelli mi sfiorarono la clavicola, inviando una scossa elettrica lungo tutto il corpo. Sentivo il suo respiro caldo sul collo mentre inspirava profondamente.

«Hai un odore diverso» mormorò, con la voce che si abbassava a un tono roco che gli sentivo usare di rado. «È profumo o sono fiori?»

Mi bloccai, sconvolta da quella sua improvvisa intimità. Il cuore martellava nel petto mentre il suo viso si librava a pochi centimetri dal mio collo, le dita ancora appoggiate sulla mia pelle.

«F-fiori» balbettai, turbata dalla sua audacia. «I gigli e il gelsomino del negozio... l'odore si attacca a tutto.»

Gli occhi di Derek si incupirono incontrando i miei, mentre le sue dita continuavano a giocherellare con il ciondolo. «Lo sai che ci ho messo solo dieci minuti a sceglierlo, vero?» disse a bassa voce. «Meno tempo di quanto ne impiego per scegliere una cravatta.»

La noncurante crudeltà delle sue parole contrastava nettamente con la posizione intima in cui ci trovavamo, rendendole ancora più taglienti. Avevo custodito quel ciondolo, indossandolo quasi ogni giorno per tre anni, convinta che avesse un significato speciale. Scoprire che era stato scelto con tale indifferenza era umiliante.

«Mi piacciono le stelle» replicai, sforzandomi di mantenere la voce ferma nonostante la sua inquietante vicinanza. «Da sempre.»

Qualcosa balenò negli occhi di Derek, forse un rimpianto per la sua durezza, ma svanì in fretta. Rimase vicino, troppo vicino, con le dita che ancora mi sfioravano la pelle.

«La cena dovrebbe essere pronta» dissi, sottraendomi al suo tocco con un passo indietro. «Non dovremmo far aspettare i tuoi genitori.»

Derek mi studiò per un lungo istante, con un'espressione indecifrabile. «No» concordò infine. «Non dovremmo.»

Mentre mi voltavo per lasciare la biblioteca, sentii i suoi occhi seguirmi e mi chiesi a cosa stesse pensando: se, proprio come sua madre, anche lui stesse contando i giorni che mancavano alla scadenza del nostro contratto.

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