Capitolo 8
Devon
Tamburellavo le dita sul tavolo lucido della sala riunioni, mentre il nostro analista finanziario snocciolava dati sulle proiezioni trimestrali. I numeri sembravano promettenti – la divisione di ricerca medica della Hall Corporation aveva superato di nuovo le aspettative – ma la mia mente era altrove. La ricerca di Aurora, l’hacker che aveva salvato i nostri sistemi la notte scorsa, si stava rivelando frustrantemente difficile.
«E come può vedere, signor Hall,» continuò l’analista, indicando un grafico, «il valore delle nostre azioni è aumentato del quindici percento da quando…»
Il telefono mi vibrò in tasca. Abbassai lo sguardo, pronto a ignorarlo, ma vidi il nome di Lily lampeggiare sullo schermo. Mia nipote non chiamava mai durante l’orario scolastico. Qualcosa non andava.
«Scusatemi,» la interruppi, alzando una mano. «Dobbiamo fare una breve pausa.»
Senza attendere risposta, uscii dalla sala riunioni e risposi alla chiamata.
«Zio Devon!» La voce di Lily arrivò dall’altro capo, affannata e in preda al panico. «Ho bisogno del tuo aiuto! Stanno facendo del bullismo a una mia amica a scuola!»
Strinsi più forte il telefono. «Stai bene?»
«No, io sì! È la mia nuova amica, Evelyn. Stanno cercando di espellerla per una cosa che non ha fatto!»
Evelyn? Quel nome mi provocò una scossa. Poteva essere la stessa donna che stavo cercando?
«Sarò lì tra quindici minuti,» dissi, tornando a passo svelto verso la sala riunioni. «Dove sei esattamente?»
«Alla Crescent Moon University.»
Terminai la chiamata e rientrai nella stanza. «Mi scuso, ma è sorto un imprevisto. Jason, tu vieni con me. Per tutti gli altri, ci aggiorniamo domani.»
Il campus universitario brulicava di attività quando accostammo con la mia Bentley nera. Gli studenti si spostavano tra una lezione e l’altra, ignari delle tensioni che scorrevano sotto la superficie della loro giornata qualunque.
«L’ufficio del rettore Fernandez è nell’edificio amministrativo,» disse Jason, controllando il telefono. «Lato est del campus.»
Annuii, attraversando il cortile con passo deciso.
Mentre ci avvicinavamo all’edificio, mi sistemai la cravatta e rallentai l’andatura. Qualunque fosse la situazione, dovevo mantenere il controllo. Lily era impulsiva e non potevo permettere che la sua reazione emotiva dettasse le mie azioni.
Jason aprì la porta dell’ufficio di Fernandez ed io entrai. Poi mi bloccai sul posto.
In piedi accanto alla finestra, con due occhi grigio-argento sgranati per lo shock, c’era Evelyn Gray.
Aveva un aspetto diverso da come la ricordavo – i lunghi capelli scuri raccolti in una coda di cavallo ordinata, vestita con dei semplici jeans e un maglione grigio – ma quegli occhi straordinari erano inconfondibili. Si spalancarono leggermente quando incrociarono i miei, mentre sul suo volto balenavano riconoscimento e diffidenza.
«Signor Hall,» disse il rettore Fernandez, alzandosi di scatto dalla scrivania. Notai il leggero inchino del capo: mi riconosceva non solo come uomo d’affari, ma come un Alpha.
Lily mi corse incontro, afferrandomi il braccio. «Zio Devon! Sei venuto!»
Mantenni un’espressione volutamente neutra, sebbene il polso mi avesse accelerato. «Certo. Quale sembra essere il problema?»
Una donna di mezza età dall’aria acida se ne stava accanto alla scrivania del rettore, con le braccia strette al petto. «Sono la professoressa Bennett, e il “problema” è che questa studentessa ha aggredito mia figlia durante l’ora di educazione fisica.»
Lasciai che il mio sguardo si posasse su Evelyn, che rimaneva perfettamente immobile, il viso una maschera di compostezza. Solo la lieve tensione nelle spalle tradiva il suo stress.
«Capisco,» dissi con tono pacato. «E la signorina Gray cosa ha da dire riguardo a questa accusa?»
«Ha poca importanza,» sbottò la Bennett. «Diversi studenti hanno assistito all’incidente.»
Inarcai un sopracciglio, ma mantenni l’attenzione su Evelyn. Lei sostenne il mio sguardo con fermezza, e sentii di nuovo quella strana connessione, come un filo invisibile che ci univa.
Feci un cenno a Jason, che si fece avanti con disinvoltura.
«Preside Fernandez, professoressa Bennett», disse, porgendo la mano. «Sono Jason, della Hall Corporation».
Io mi spostai verso la finestra, mettendomi in un punto da cui potevo osservare tutti pur sembrando disinteressato.
«La Hall Corporation?», sbuffò la Bennett, ignorando la mano tesa di Jason. «Cosa c'entra un'azienda con la disciplina universitaria?»
«La nostra società ha investimenti significativi negli istituti di istruzione», spiegò Jason con calma. «Incluse cospicue donazioni al programma di medicina di questa università».
Smisi di seguire la loro conversazione, concentrandomi invece su Evelyn. La luce del sole che filtrava dalla finestra le si impigliava tra i capelli, mettendo in risalto fili d'argento tra le ciocche scure. La sua postura era perfetta – schiena dritta, mento alto, spalle indietro – eppure non rigida. C'era una grazia fluida nella sua immobilità che mi ricordava un predatore a riposo.
Il mio lupo si agitò sotto pelle, incuriosito e all'erta. Il suo odore era un enigma: più debole di quanto dovesse essere per un lupo mannaro, eppure inconfondibilmente presente. Come fumo di legna e aria d'inverno, sottile ma distintivo.
Come aveva fatto proprio Lily a diventare sua amica? Mia nipote aveva un talento per raccogliere i randagi, ma questa particolare amicizia sembrava troppo strana per essere una coincidenza.
Dopo aver parlato con Jason, Fernandez tornò da loro e disse: «Professoressa Bennett, avremo bisogno di dichiarazioni scritte da parte di tutti i testimoni e fisseremo un'udienza formale la prossima settimana».
La Bennett raccolse le sue carte con gesti scattosi, lanciando un'occhiata velenosa a Evelyn prima di uscire dall'ufficio a grandi passi.
«Grazie per essere venuto con così poco preavviso, signor Hall», disse Fernandez, con tono deferente. «Mi scuso per il disturbo».
Liquidai le sue scuse con un gesto della mano. «Si figuri. Gli amici di Lily sono importanti per me». Mi voltai verso Lily, che saltellava per l'entusiasmo. «A proposito, forse dovresti presentarci come si deve».
Lily sorrise, afferrando il braccio di Evelyn e tirandola in avanti. «Zio Devon, questa è la mia nuova amica, Evelyn Gray. Evelyn, questo è mio zio, Devon Hall».
Le porsi la mano, incrociando quei suoi straordinari occhi argentati. «Piacere di conoscerla, signorina Gray».
La sua mano era calda nella mia, e sentii la stessa inspiegabile scossa che avevo provato quando mi aveva toccato quella notte nella foresta. L'aveva sentita anche lei? La sua espressione non lasciava trasparire nulla.
«Piacere mio, signor Hall», disse lei con freddezza, ritirando la mano forse un po' troppo in fretta.
«Dobbiamo festeggiare!», dichiarò Lily. «Evelyn mi ha difesa da quei bulli e tu l'hai salvata dall'espulsione. È perfetto!»
Evelyn scosse la testa. «Grazie per l'invito, ma io avrei da…»
«Ho già prenotato al The Garden», la interruppi, sorprendendo persino me stesso per la mia impazienza. «Lo chef è appena tornato dalla Francia».
Aggrottò leggermente la fronte per la mia interruzione, e mi resi conto di essere stato troppo diretto. Facendo un passo indietro, adottai un tono più disinvolto.
«La mia auto è qui fuori. Possiamo darle un passaggio».
Lily tirò il braccio di Evelyn. «Dai, Evelyn. Ti prometto che per la cucina del The Garden vale la pena cancellare qualsiasi impegno».
Osservai la resistenza di Evelyn sgretolarsi sotto l'entusiasmo di Lily. I suoi occhi incrociarono di nuovo i miei, e vi lessi una rassegnazione mista a curiosità.
«D'accordo», concesse. «Una cena mi farebbe piacere».
Mentre ci avviavamo verso l'uscita, mi ritrovai a interrogarmi sul mio stesso comportamento. Perché ero così determinato a passare del tempo con questa donna? Era gratitudine per avermi salvato la vita? Curiosità per la sua forma di lupo bianco?
O qualcosa di più profondo che non ero ancora pronto ad ammettere?
