Capitolo 7

Il punto di vista di Freya

Passarono tre anni nel paesaggio brutale delle Terre Dimenticate. Tre anni a lottare per ogni misero avanzo di cibo, per ogni istante di riposo, per ogni giorno di sopravvivenza. Il collare d'argento era diventato parte di me, il suo bruciore costante un promemoria di tutto ciò che avevo perso.

Imparai a sopravvivere ai margini dei branchi di esiliati già formati, senza mai appartenere veramente a nessuno, ma scambiando abilità e informazioni per guadagnarmi il pane. Divenni più magra, più dura, più in sintonia con la cruda realtà di una vita senza le comodità della civiltà.

Poi, una mattina, i Guardiani delle Terre Selvagge apparvero ai confini della desolazione in cui avevo trovato un riparo temporaneo.

«Freya Riley» chiamò il Guardiano a capo del gruppo. «La tua condanna è terminata. Oggi ti togliamo il collare.»

Mi avvicinai con cautela, osando a malapena crederci. Quando sbloccarono il congegno d'argento, la connessione con la mia lupa fu così impetuosa da travolgermi. Lei si fece avanti nella mia coscienza, il nostro legame ripristinato come acqua che inonda il letto di un fiume in secca.

«Ricordati qual è il tuo posto, quando tornerai» disse il Guardiano, porgendomi i pochi effetti personali che avevo con me al mio arrivo. «Non sei più una Beta d'Élite dei Riley. Sei un'ex esiliata. Meno di un'Omega.»

Mi toccai la cicatrice intorno al collo, dove il collare mi aveva bruciato la pelle per tre lunghi anni. «Ricordo esattamente chi sono» dissi a bassa voce.

Il viaggio di ritorno a Moon Bay fu surreale. Il profilo della città apparve all'orizzonte come un'immagine uscita da un sogno: torri di vetro e acciaio che si ergevano sulla foresta circostante. Era sempre stata così imponente? Così minacciosa?

La mia prima destinazione fu il Bosco del Chiaro di Luna, il ricco distretto occidentale dove un tempo sorgeva la tenuta della famiglia Riley. Mentre mi avvicinavo a piedi – nessun mezzo di trasporto era previsto per gli esiliati di ritorno – percepii odori sconosciuti che marcavano il territorio.

«Mi scusi» dissi a un maschio Beta di passaggio, che indossava l'abbigliamento professionale tipico dei residenti del distretto. «La proprietà dei Riley... a chi appartiene adesso?»

L'uomo arricciò il naso non appena sentì il mio odore, individuando senza dubbio l'olezzo persistente delle Terre Selvagge e il marchio dell'esilio. «Il branco l'ha acquisita due anni fa. Perché lo chiedi? Tu non appartieni a questo distretto.» I suoi occhi si strinsero, sospettosi.

«Semplice curiosità» risposi, indietreggiando prima che potesse chiamare la sicurezza.

Mentre mi voltavo per andarmene, un maschio Beta più anziano si avvicinò, con in mano un piccolo pacchetto. Mi studiò con attenzione prima di parlare.

«Tu sei la ragazza dei Riley» disse piano. «Riconosco il marchio della luna che hai sul collo.» Indicò la voglia a forma di mezzaluna bianca appena sotto il mio orecchio, il simbolo della linea di sangue dei Riley.

Mi irrigidii, pronta all'ostilità, ma lui, invece, mi mise in mano il pacchetto.

«Il branco di tuo padre aiutò il mio cucciolo quando si ferì durante una battuta di caccia» spiegò l'uomo in fretta, guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno stesse osservando. «Questa è carne di cervo essiccata. È tutto quello che posso darti.» Fece una pausa, poi aggiunse: «Ho sentito che a tuo padre hanno dato sette anni per tradimento verso il branco. L'Alpha... si è fidanzato con la donna dei Brooks l'anno scorso.»

Il cuore mi si strinse in una morsa dolorosa. Sette anni nelle Terre Selvagge avrebbero ucciso mio padre. E Thorne si era davvero fidanzato con Kaelin, la donna che mi aveva incastrata.

«Grazie» sussurrai, stringendo il pacchetto.

L'uomo fece un cenno col capo e si allontanò in fretta, lasciandomi sola con la consapevolezza che la mia famiglia non c'era più, il nostro territorio ancestrale era stato confiscato e mio padre stava subendo la stessa sorte a cui io ero a malapena sopravvissuta.

Il Distretto dell'Ombra mi accolse come accoglieva tutti i reietti della società. La zona industriale est di Moon Bay ospitava coloro che non rientravano nelle rigide categorie della società dei licantropi: Omega, mezzosangue ed esiliati di ritorno come me.

L'Howling Moon Bar si ergeva al centro del distretto, un edificio di tre piani con insegne al neon e una musica dai bassi pesanti che si riversava in strada. All'interno trovai quello che avevo sperato: un cartello con su scritto "Cercasi personale" all'ingresso.

La direttrice del bar, una Beta di nome Terra Thompson dallo sguardo acuto, mi squadrò da capo a piedi con scetticismo.

«Ex esiliata, eh?» disse, cogliendo subito il mio odore. «Che hai combinato?»

«Sono stata condannata per aver attaccato un Beta d'Élite» risposi onestamente. «Ma non sono stata io.»

Terra sbuffò. «Lo dicono tutti. Ma qui non ha importanza.» Mi lanciò un grembiule. «Inizi stasera. Come cameriera. Solo mance per la prima settimana. Se te la cavi, parleremo di stipendio.»

Il lavoro era estenuante ma semplice: servire da bere, pulire i tavoli, evitare i clienti con le mani lunghe. Trovai una stanzetta in affitto sopra una lavanderia a gettoni lì vicino e mi assestai in una routine che, per quanto umiliante, almeno mi garantiva un pasto e un tetto sopra la testa.

Per tre settimane lavorai, dormii e pianificai le mie prossime mosse in solitudine. Poi arrivò la notte che cambiò tutto.

«Tutto il personale femminile nella sala VIP» annunciò Terra, facendosi largo tra la folla al piano principale. «Il capo dice che abbiamo un cliente importante.»

Seguii le altre cameriere in un corridoio sul retro, dove ci fu ordinato di metterci in fila. Il proprietario del bar, un Beta corpulento di nome Marcus, camminava avanti e indietro davanti a noi.

«Stasera abbiamo in visita l'Alpha Stone del branco Silverstone» disse, con la voce tesa per l'importanza dell'occasione. «Una di voi sarà scelta per servire esclusivamente al suo tavolo. State dritte, siate presentabili.»

Il cuore mi martellava nel petto. L'Alpha Jasper Stone, leader del territorio confinante con Moon Bay e principale rivale di Thorne. Che ci faceva in un locale così umile?

La porta si aprì ed entrò un uomo dalla corporatura possente. Anche in forma umana, il suo status di Alpha era inconfondibile: il passo sicuro, il modo in cui i suoi occhi valutavano ogni cosa nella stanza come una minaccia o una risorsa. Aveva i capelli scuri e corti e, a differenza dell'aspetto impeccabile di Thorne, possedeva un'aria rude che parlava di un lupo più a suo agio nelle foreste che nelle sale riunioni.

Percorse lentamente la fila, annusando ogni cameriera a turno: un gesto all'antica che nell'alta società sarebbe stato considerato rozzo, ma che era prassi comune nei branchi tradizionali. Quando arrivò davanti a me, le sue narici si dilatarono e gli occhi si spalancarono leggermente.

«Questa» disse, con una voce che era un rombo profondo. «È interessante.»

Marcus parve sorpreso, ma si riprese in fretta. «Certo, Alpha Stone. Freya si occuperà esclusivamente del suo tavolo stasera.»

Jasper Stone si avvicinò, inspirando profondamente vicino al mio collo nel tradizionale saluto dei lupi. Mi costrinsi a rimanere immobile, anche se ogni istinto mi urlava di allontanarmi da quell'Alpha sconosciuto.

«Mi piacciono quelle indomite» disse con un sorriso che rivelò canini leggermente allungati. «Sono sempre più... autentiche.»

Mentre le altre cameriere si disperdevano, mi posò una mano sulla parte bassa della schiena, guidandomi verso la sala VIP. «Facciamo più conoscenza, lupacchiotta. Mi interessi molto.»

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