Capitolo 4: Basta!
Il punto di vista di Lila
«Smettila di fissare il capo, sei impazzita?» Il sussurro concitato di Ava fendette la musica mentre mi passava alle spalle sulla pedana rialzata.
Abbassai subito lo sguardo, ma sentivo ancora i suoi occhi addosso. Ethan Pacheco sedeva al centro del privè come un re sul suo trono, circondato da uomini in abiti costosi.
Mi aveva osservata con la stessa espressione intensa fin dall'inizio del mio numero, i suoi occhi scuri che percorrevano la mia pelle scoperta con interesse palese.
Mi rifiutai di degnarlo di attenzione, concentrandomi invece sulla coreografia. Il minuscolo completo di paillettes lasciava poco all'immaginazione, ma era meglio che essere completamente nuda. E poi, avevo bisogno di quel lavoro. L'affitto non si sarebbe pagato da solo.
Con la coda dell'occhio, lo vidi appoggiarsi allo schienale della poltrona in pelle, un sorriso predatorio che gli increspava le labbra. C'era qualcosa di possessivo nel modo in cui seguiva i miei movimenti, qualcosa che mi fece contrarre lo stomaco per l'ansia.
Che mi abbia riconosciuta? Il pensiero mi colpì come una secchiata d'acqua gelata. Quella sera al bar... eravamo entrambi ubriachi, ma se si ricordasse?
Mi costrinsi a continuare il numero, anche se la mente mi vorticava. Quella notte di tre mesi prima, stavo annegando i dispiaceri per il mio fidanzato traditore, un uomo che non avevo nemmeno mai incontrato. L'ironia di essere forse andata a letto proprio con lui non mi sfuggiva.
No, mi dissi con fermezza. Non può saperlo. Probabilmente è solo un altro riccone che si gode lo spettacolo. Eppure, non riuscivo a scrollarmi di dosso la sensazione che ci fosse qualcosa di più dietro quegli occhi scuri e penetranti. Qualcosa che assomigliava pericolosamente a un riconoscimento.
La musica mi martellava nelle ossa mentre eseguivo un'altra complicata piroetta.
Anche se si ricordasse di quella notte, ragionai, non potrebbe mai sapere che sono la sua fidanzata. Quella che è scappata. Il pensiero mi diede ben poco conforto, mentre sentivo il suo sguardo bruciarmi sulla pelle.
«Non dovrebbe essere tuo fratello maggiore a condurre questa riunione?» Uno degli uomini al tavolo — di mezza età, con un abito che gli stava male e troppo profumo — si lasciò andare a una risata forzata. «Non riesco a immaginare che Henry sia così pazzo da lasciare che un ventitreenne gestisca affari di questa portata.»
La temperatura nella stanza sembrò precipitare di parecchi gradi. Tutti si voltarono a valutare la reazione di Ethan, con una tensione così fitta da poterla tagliare con un coltello.
Ethan sollevò lentamente la testa, un sorriso pericoloso che gli si allargava sul viso.
«Vuole provare a indovinare perché l'erede sono io, mentre mio fratello maggiore lavora ai miei ordini?» La sua voce era disinvolta, ma aveva un tono tagliente come una lama. «Lei non è nella posizione di mettere in discussione le mie capacità.»
L'uomo arrossì, ma saggiamente tenne la bocca chiusa.
L'attenzione di Ethan tornò rapidamente al palco. I suoi occhi seguirono i miei movimenti con concentrazione assoluta, quasi senza accorgersi del suo migliore amico e confidente, Lucas Guerrero, che si era chinato per sussurrargli qualcosa all'orecchio.
I due erano cresciuti insieme, gli imperi delle loro famiglie intrecciati da generazioni di affari. Anche mentre gli altri uomini parlavano, discutendo di margini di profitto e dispute territoriali, lo sguardo di Ethan rimase fisso sulla spogliarellista nel luccicante completo blu: io.
Sentivo il petto stringersi ogni volta che i suoi occhi incrociavano i miei. Ogni sguardo sembrava una minaccia, una promessa, una domanda a cui non osavo rispondere.
Cercai di concentrarmi sulla musica, sui miei movimenti, su qualsiasi cosa tranne la possibilità che stesse collegando i puntini tra la ragazza ubriaca del bar e la spogliarellista sul suo palco.
La riunione andava per le lunghe, numeri e minacce si mescolavano al ritmo martellante della musica. Mi sentivo sempre più stordita, i miei movimenti, di solito precisi, si erano fatti lenti. La stanza cominciò a girare, o forse ero io a girare? Lo stomaco mi si rivoltò con violenza.
Resta in piedi, mi ordinai. Non metterti in imbarazzo davanti a...
Il tacco si impigliò sul bordo della pedana. Il mondo si inclinò di lato mentre perdevo l'equilibrio, ruzzolando senza grazia giù dal palco. Atterrai pesantemente sul pavimento, proprio di fronte ai boss della famiglia criminale riuniti.
«È così che balli, inutile puttana?» Una voce roca squarciò il silenzio sbigottito. «Ci rovini la serata con le tue cazzate da dilettante?»
Alzai lo sguardo e vidi un uomo anziano e sgradevole in un angolo, il volto deformato da un divertimento crudele. Tirò fuori una spessa mazzetta di contanti e la gettò a terra. Le banconote si sparsero sul pavimento come foglie cadute.
«Se non vuoi perdere quelle tue belle gambe, striscia fin qui e fammi una lap dance come si deve.» Le sue labbra si arricciarono in un ghigno. «E non fermarti finché ogni pezzo di quel costume non sarà per terra.»
Gli altri uomini osservavano con diversi gradi di interesse: alcuni a disagio, altri che mi scrutavano apertamente.
I miei occhi corsero istintivamente verso Ethan, ma la sua espressione rimase attentamente neutrale, come se non fossi altro che una lieve distrazione e lui non mi conoscesse.
Il cuore mi martellava nel petto. Il pensiero delle mani di quell'uomo su di me mi faceva accapponare la pelle, ma non potevo permettermi di perdere questo lavoro. E, cosa ancora più importante, non potevo permettermi di farmi nemici persone come lui.
«Non sarà necessario.» La voce suadente di Lucas Guerrero spezzò la tensione. Si alzò, sistemandosi la giacca dal taglio perfetto.
«La signorina può farsi perdonare unendosi a me per un drink.» Mi tese la mano, con un sorriso caldo e rassicurante. «Che ne dici, bellezza?»
Il sollievo fu quasi doloroso. Avevo sentito parlare di Lucas Guerrero: il migliore amico di Ethan fin dall'infanzia e l'erede dell'impero industriale Guerrero. Sembrava un angelo in Armani. Meglio sedersi sulle sue ginocchia a versare un po' di champagne che sottomettersi alle richieste di quell'altro bastardo.
Mi rimisi in piedi, combattendo un'altra ondata di nausea. La stanza ondeggiò in modo allarmante, ma mi costrinsi a camminare verso Lucas con tutta la dignità che riuscii a raccogliere. Mentre mi avvicinavo, la sua mano stava già per raggiungermi la vita.
«Basta!»
Quella singola parola rimbombò nella stanza come un colpo di pistola. Tutti si bloccarono, me compresa. Mi voltai lentamente, con il cuore in gola, verso Ethan Pacheco.
La sua espressione era indecifrabile mentre mi fissava, quegli occhi scuri che bruciavano di qualcosa che non riuscivo — o non osavo — interpretare.
