Capitolo 1: Il dolore del passato

Il punto di vista di Aurora


Io, Aurora, ricordo ancora il giorno in cui mio padre, l'Alpha del Branco della Luce, ci bandì dal branco. Avevo solo otto anni, ma quel ricordo è inciso nella mia mente come una cicatrice. Era una notte di luna piena e stavo giocando con le mie bambole nella casa del branco quando sentii le urla.

I miei genitori erano in salotto, le loro voci alterate dalla rabbia. Il ringhio profondo di mio padre e le suppliche disperate di mia madre echeggiavano per i corridoi, facendomi tremare di paura. Mi avvicinai di soppiatto, con il cuore che batteva all'impazzata, e sbirciai dall'uscio.

Mia madre era in ginocchio, implorava mio padre con il viso inondato di lacrime. Lui le stava sopra, il volto contratto dalla furia, i pugni serrati lungo i fianchi. L'aria era densa di tensione e potevo percepire il peso della loro rabbia e del loro dolore.

«Fuori!» tuonò mio padre, con una voce che sembrava un colpo di tuono.

«Sei un'imbrogliona, una bugiarda e una disgrazia!» urlò, e la sua voce rimbalzò sulle pareti.

Mia madre si rannicchiò, alzando le mani per difendersi. «Ti prego, Alpha, perdonami! Farò qualsiasi cosa per rimediare!»

Ma mio padre si limitò a scuotere la testa, lo sguardo freddo e spietato. «Hai distrutto la nostra famiglia, la nostra fiducia, tutto. Non posso più restare qui con te.»

«Alpha, ti prego, ascoltami. Non è come pensi,» lo supplicò mia madre, gli occhi pieni di lacrime mentre allungava una mano tremante verso di lui.

«Oh... non è come pensi, eh?» La voce di mio padre era intrisa di sarcasmo mentre scagliava un bicchiere di vetro sul pavimento con rabbia, e i frammenti si sparsero per tutta la stanza. «Come hai potuto farmi questo, farci questo?» La sua voce era come una lama, che fendeva l'aria con precisione e dolore.

Mio padre le voltò le spalle, il viso deformato dal disgusto. «Avrei dovuto sapere che non potevo fidarmi di te,» sputò fuori, con la voce che grondava veleno.

Il viso di mia madre si contorse in un'espressione angosciata mentre urlava: «Non è giusto, Alpha! Non mi stai ascoltando!» Batteva i pugni a terra, le lacrime che cadevano come pioggia mentre si disperava.

Ma mio padre non voleva sentire ragioni. «No, April! Non voglio sentire le tue scuse! Hai infranto il nostro legame, la nostra fiducia! Non sei più la mia compagna, non sei più la mia Luna!»

Mia madre cercò di spiegare, con la voce che tremava per i singhiozzi. «Ti prego, Alpha, ascoltami! Non è andata così, te lo giuro!»

Il lupo beta, l'amante di mia madre, si era rannicchiato in un angolo, con gli occhi fissi a terra, incapace di incrociare lo sguardo di mio padre.

Sentii un nodo formarsi in gola mentre guardavo la mia famiglia andare in pezzi, il dolore e la ferita del loro tradimento che bruciavano dentro di me come un fuoco.

«Hai fatto la tua scelta, April. Ora fanne i conti.»

Detto questo, le porse un accordo di divorzio e si voltò per andarsene. Fu in quel momento che mi vide, lì in piedi, paralizzata dallo shock. I nostri sguardi si incrociarono e, per un istante, pensai che sarebbe venuto ad abbracciarmi, a dirmi che sarebbe andato tutto bene. Invece, si limitò a un cenno secco del capo e disse: «Addio, Aurora».

E così fummo cacciate dal branco, lasciandomi con una madre distrutta, una casa in frantumi e un cuore segnato per sempre.

Non capivo perché non mi avesse permesso di restare con lui. Pensavo di essere una brava bambina, una brava figlia. Ma a quanto pare non ero abbastanza.

Il ricordo di quel giorno mi tormenta ancora, un monito costante della fragilità dell'amore e del dolore dell'abbandono.


Dopo essere state esiliate, la dipendenza di mia madre dalla pietra di luna, una droga pericolosa per i licantropi, la consumò. Cercava di colmare il vuoto lasciato dal rifiuto e dall'esilio di mio padre. Spesso se la prendeva con me, incolpandomi del suo abbandono. Ero diventata il suo sacco da boxe, il suo capro espiatorio emotivo. Mi urlava contro, dicendomi che ero io la ragione per cui se n'era andato, che non valevo niente e che nessuno avrebbe mai potuto amarmi.

«È colpa tua se ci ha lasciate, Aurora!» gridava, con gli occhi spiritati e lo sguardo perso nel vuoto. «Se solo fossi stata più carina, più affascinante, più amabile, sarebbe rimasto!»

Cercavo di difendermi, di spiegarle che ero solo una bambina, che non capivo cosa stesse succedendo. Ma lei non voleva sentire ragioni. Continuava a picchiarmi, a schiaffeggiarmi, a prendermi a pugni finché non mi rannicchiavo a terra, piangendo e implorando pietà.

Imparai a nascondermi, a fuggire, a sopravvivere. Mi chiudevo a chiave in camera, nascondendomi sotto il letto o nell'armadio, aspettando che svenisse o uscisse di casa. Mi rifugiavo nei libri, nelle serie TV, nella mia immaginazione; ovunque, pur di non stare in quell'inferno che era casa nostra.

Diventai una maestra nell'evitarla, nello schivare i suoi colpi, nel fingere che andasse tutto bene quando in realtà stavo morendo dentro. Imparai a rendermi insensibile, a spegnermi, a disconnettermi dal dolore e dalla paura.

Ma le cicatrici rimasero, nascoste sotto la superficie, pronte a riaprirsi al minimo ricordo di quel periodo infernale.


Passarono gli anni, e io resistetti. Mia madre ebbe una serie di relazioni fallimentari, ognuna conclusa con il cuore spezzato e fiumi di lacrime. Ma quando incontrò il suo quarto compagno e me lo presentò come il mio nuovo patrigno, pensai che forse, solo forse, questa volta sarebbe stato diverso.

Era affascinante e gentile, ci faceva sempre ridere e ci faceva sentire amate. Dava una mano con le faccende di casa, partecipava agli eventi scolastici e faceva persino da allenatore alle mie squadre sportive. Pensavo fosse la figura paterna perfetta e cominciai a fidarmi di lui.

Ma non sapevo che avesse un lato oscuro, un'intenzione sinistra che si nascondeva dietro la sua facciata amichevole. Non sapevo che una notte, dopo che mia madre era svenuta per aver bevuto troppo, sarebbe entrato nella mia stanza, con gli occhi pieni di una fame che mi fece venire la pelle d'oca.

«Ehi, Aurora» sussurrò lui. La sua voce, bassa e minacciosa, mi fece sentire in trappola e vulnerabile. Provai a fingere di dormire, ma sapeva benissimo che ero sveglia.

Si avvicinò, il respiro pesante, e sentivo il suo sguardo su di me come una folata di vento gelido. Ero paralizzata dalla paura, incapace di muovermi o di parlare.

«Fa freddo stanotte, e ho solo bisogno di un po' del tuo calore. Puoi darmelo, tesoro?» chiese, con la voce che grondava di finta sincerità.

Quando allungò una mano, un brivido mi corse lungo la schiena. Sapevo cosa voleva davvero, e non aveva niente a che fare con il calore. Cercai di tirarmi indietro, ma mi afferrò il braccio con una stretta ferrea. Ero in trappola, e capii che dovevo pensare in fretta.

«Sono stanca, per favore, lasciami in pace» mentii, cercando di sembrare convincente. Ma lui si limitò a sorridere, con gli occhi che brillavano di un'intenzione sinistra. Sapevo di essere in grave pericolo e che dovevo trovare un modo per scappare.

Qualcosa dentro di me si spezzò. Trovai la forza di spingerlo via, di gridare aiuto e di reagire.

«Aiuto!

Aiuto!!

Aiuto!!!»

Urlai a pieni polmoni, e la mia voce echeggiò nella casa silenziosa. Lo spinsi via con tutta la forza che avevo, e lui barcollò all'indietro, con gli occhi sgranati per la sorpresa.

Senza esitare, mi voltai e corsi giù per le scale più veloce che potevo, con il cuore che batteva all'impazzata per la paura. Arrivai in soggiorno e vidi mia madre svenuta sul divano, ignara dell'orrore che si era appena consumato.

La scossi per svegliarla, con le lacrime che mi rigavano il viso.

«Mamma, mamma, svegliati!

Lui ha provato a... ha provato a...» Non riuscii a finire la frase, ma lei mi guardò con un'espressione prima confusa, poi sconvolta. Per un istante tornò sobria e lesse la verità nei miei occhi.

Prima che potessi spiegare qualunque cosa, il mio patrigno arrivò di corsa per giustificarsi.

«Cara, non ascoltarla» disse con la sua voce suadente e manipolatrice. «Sta solo facendo una scenata, si inventa di nuovo le storie.»

Si rivolse a me, con gli occhi pieni di una finta preoccupazione. «Aurora, tesoro, lo sai che non ti farei mai del male. Sei solo turbata perché stavo cercando di consolarti e hai frainteso.»

Mia madre mi guardò, incerta, e capii che dovevo parlare prima che credesse alle sue bugie.

«No, mamma, non è andata così» dissi, con la voce ferma ma tremante per l'emozione. «Lui ha provato a... ha provato a toccarmi, e io l'ho respinto.»

Feci un respiro profondo e continuai: «È entrato in camera mia e... ha provato a fare qualcosa che nessuno dovrebbe mai fare a una bambina».

La voce mi si spezzò, ma mi costrinsi ad andare avanti. «L'ho spinto via e ho gridato aiuto. Devi credermi, mamma. Devi proteggermi da lui.»

L'espressione di mia madre passò dall'incertezza allo shock, e poi a un misto di rabbia e tristezza. Guardò il mio patrigno e, per un istante, mi parve di scorgere un barlume di dubbio nei suoi occhi. Ma subito dopo si voltò di nuovo verso di me, con la voce fredda e dura.

«Aurora, stai mentendo. Stai solo cercando di attirare l'attenzione.»

Le sue parole mi lasciarono di sasso, come se avessi ricevuto un pugno nello stomaco. Non potevo credere che non mi credesse. Non potevo credere che si fosse schierata dalla sua parte.

Le lacrime mi pizzicarono agli angoli degli occhi quando capii di essere completamente sola in quella situazione. Sola nella mia paura, sola nel mio dolore e sola nella mia verità.

«Stavi cercando di sedurlo, non è vero? Brutta sgualdrinella!» sbottò mia madre, dandomi dei nomi che mi ferirono nel profondo dell'anima.

Cercai di parlare, di difendermi, ma dalla bocca non mi uscì nessuna parola, solo lacrime. Ero a pezzi, distrutta e tradita. Non potevo credere che mia madre, la persona che avrebbe dovuto amarmi e proteggermi, credesse a lui invece che a sua figlia.

Mi cacciò di casa, lasciandomi con nient'altro che i vestiti che avevo addosso e un'autostima in frantumi. Rimasi sulla veranda, sentendo il sole caldo sul viso ma incapace di assorbirne il calore.

Ero insensibile, con la mente sconvolta dalla crudeltà delle sue parole e dalla dura realtà della mia situazione. Non mi ero mai sentita così sola, così abbandonata e così completamente tradita. La donna che avrebbe dovuto amarmi e proteggermi aveva scelto di credere a un mostro piuttosto che alla sua stessa figlia.

Avevo meticolosamente ricostruito la mia vita, mattone dopo mattone, con pura determinazione e duro lavoro. Diversi lavori part-time e innumerevoli notti insonni erano diventati la mia normalità mentre mi mantenevo agli studi, spinta da un desiderio feroce di fuggire dall'oscurità del mio passato.

Pensavo di essermi finalmente liberata dalle catene del mio trauma infantile. Ma poi, come un fantasma riemerso dal passato, mia madre era ricomparsa sulla soglia di casa mia. I suoi occhi brillavano di un sorriso falso mentre mi presentava il suo nuovo marito, tentando di mascherare le sue intenzioni manipolatrici.

«Aurora, tesoro, voglio presentarti il tuo nuovo patrigno» disse, con la voce che grondava dolcezza.

Mentre parlava, gli avvolse le braccia intorno alla vita, stringendo le mani in un gesto possessivo, con la testa inclinata verso di lui e un sorriso stucchevole. Lui, a sua volta, le cinse le spalle con un braccio, stringendola a sé in un abbraccio romantico.

Un'ondata di nausea mi travolse mentre li guardavo. La loro dimostrazione d'affetto era un crudo promemoria del trauma che avevo subito per mano dei precedenti compagni di mia madre. I ricordi che avevo faticato tanto a sopprimere, le emozioni che avevo lottato per contenere, tutto tornò a galla.

«Non di nuovo!»

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