La sua parte
ENZO
Finiti gli incontri della giornata, mi appoggiai allo schienale della sedia, pensieroso. C'era qualcosa di molto strano in lei quando ero uscito per andare al lavoro. Non aveva mangiato con me, eppure mi aspettavo che lo facesse. Dopotutto, stava cercando di cambiare. Non mi aveva salutato sulla porta, come invece aveva promesso che avrebbe fatto ogni giorno. Sapevo che era solo l'inizio, ma le sue azioni mi irritavano. Ed ero certo di non pretendere troppo da lei.
Non capivo nemmeno perché si stesse comportando in quel modo. Guardai l'orologio. Era quasi ora di staccare. Raccolsi le mie cose e mi diressi all'ascensore. Una volta dentro, controllai il telefono, sperando di trovare il menù della cena che Ariana mi mandava ogni singola sera. Ma quella sera, niente.
La cosa non fece che peggiorare il mio umore già pessimo. Il tragitto in auto verso casa fu tranquillo, forse perché ero perso nei miei pensieri. Scesi non appena arrivammo alla villa. Entrai, ma rimasi di nuovo deluso quando non trovai Ariana sulla porta ad accogliermi, come aveva preso a fare.
Furente di rabbia, marciai verso la cucina. Strinsi i pugni quando i miei occhi si posarono su di lei. Era lì, ai fornelli, eppure aveva deciso di non salutarmi. Avrei voluto scaricarle addosso tutta la mia rabbia, ma decisi di lasciar perdere. Stava cucinando per me. Lo sapevo.
Mi allontanai dalla cucina. In camera da letto trovai tutto al suo posto: la stanza era pulita e i miei abiti casual erano sistemati ordinatamente sul letto. Non potei fare a meno di sentirmi, in un certo senso, orgoglioso. Stava adempiendo ai suoi doveri coniugali, quelli che le spettavano. Un sorrisetto mi spuntò sulle labbra.
Dopo essermi scrollato di dosso la stanchezza della giornata con una doccia, mi vestii e scesi al piano di sotto. Lo stomaco mi brontolava per la fame. Non avevo toccato cibo a pranzo. Arrivato in sala da pranzo, trovai Ariana che stava apparecchiando la tavola per me.
Avevo vinto di nuovo. E sorridevo compiaciuto della mia vittoria mentre mi accomodavo sulla sedia. Mi riempì il piatto. Aveva preparato le lasagne al forno. Riempì un bicchiere d'acqua e un altro di vino rosso, proprio come piace a me.
Poi si voltò per andarsene, ma le afferrai il polso. «E il tuo piatto?» le chiesi, confuso dal suo comportamento.
«Non ho fame. Lasciami andare, per favore. Sono sfinita. Ho bisogno di dormire» mi rispose freddamente, cosa che mi fece infuriare ancora di più.
Le sfuggì un gemito quando la tirai di scatto sulle mie ginocchia. Non le diedi il tempo di pensare. Le avevo già cinto la vita con un braccio per tenerla ferma. «Fuori tutti, cazzo» urlai ai domestici presenti in sala da pranzo.
Corsero via non appena mi sentirono. Rimasi solo con mia moglie. Con l'altra mano, le afferrai la nuca. Potevo letteralmente sentirle il cuore martellare contro la cassa toracica mentre respirava affannosamente. Mi chinai in avanti, la strinsi contro il mio petto e cominciai a mangiare.
«Ti prego, lasciami andare, Enzo. Non voglio mangiare niente.» Singhiozzò contro il mio orecchio, cercando di spingermi via. Le scostai il viso dal petto per guardarla in faccia. Mi resi conto che non stava incrociando il mio sguardo per niente.
«Guardami!» le ringhiai contro, furioso. Fu allora che aprì gli occhi e mi guardò.
«Che cazzo ti prende adesso?» le chiesi, incapace di contenere la rabbia. Avevo avuto una giornata lunga e al mio ritorno a casa volevo vedere il suo viso sorridente. Purtroppo, lei aveva altri piani.
«Davvero non ne hai idea? Mi hai insultata, anche se indirettamente, e ora vorresti che facessi finta di niente e recitassi la parte della brava mogliettina? Come puoi essere così egoista?» Stava singhiozzando, ma decise comunque di alzare la voce con me. La cosa non mi piacque per niente.
«Ho forse mentito? Perché vuoi sapere i miei impegni?» le ringhiai di nuovo contro. Con qualche spintone e un po’ di forza, la tirai a me finché non fu completamente sotto il mio controllo, seduta sulle mie gambe. Tentava di divincolarsi, ma non glielo permisi.
«Forse ti stai dimenticando che sono tua moglie e che vuoi che io gestisca tutto per te. Vuoi che sia tua moglie e non ti fidi nemmeno di me? Come pensi che possa funzionare?» A quel punto, aveva gli occhi rossi e gonfi. Segno inequivocabile che aveva pianto tutto il giorno. Per qualche ragione, il solo pensiero delle sue lacrime mi eccitava.
«Ho mentito? Te l'ho chiesto. E se volessi liberarti di me perché ti ho sposata con la forza?» le ringhiai ancora contro. Le tirai i capelli, ma senza aggressività. Avevo sempre desiderato affondare le dita tra le sue lunghe ciocche bionde in un modo più intimo.
A quelle parole, scoppiò a piangere. Mi colpì il petto un paio di volte, cercando di liberarsi dalla mia presa. «Non sono una bambina. Il matrimonio forzato non esiste. Ho detto di sì di mia spontanea volontà. Come puoi accusarmi di una cosa così grave? Sai che non farei mai una cosa del genere.» La sua rabbia, e il modo in cui mi stava evitando, iniziarono improvvisamente ad avere un senso.
La strinsi di nuovo contro il mio petto e ricominciai a mangiare. Avevo capito di aver commesso un errore. E per calmarla, dovevo tenerla tra le braccia. «Lasciami andare, Enzo. Non voglio stare vicino a te, in questo momento. Non lo capisci?» singhiozzò, dimenandosi sulle mie gambe. Frustrato, la spinsi con forza.
Con un forte sussulto, cadde pesantemente a terra. Potrei giurare di aver sentito qualcosa colpirle la gamba, ma ero troppo arrabbiato per prestarci attenzione. Troppo arrabbiato. Con me stesso o con la situazione. La sentii sibilare per il dolore mentre si metteva a sedere sul pavimento duro. «E allora che cazzo ci fai ancora qui? VATTENE!» le urlai contro, senza più riuscire a trattenermi.
Facendo una smorfia di dolore, si alzò in piedi. Mentre la guardavo uscire zoppicando dalla sala da pranzo, il cuore mi fece una cosa che non avevo mai provato in vita mia. Afferrai il bicchiere di vino e lo tracannai tutto d'un fiato. Solo per placare quella strana sensazione al petto. Sapevo che il vino avrebbe aiutato. O qualcosa di più forte, come vodka o scotch.
