
I gemelli della Mafia
Tonje Unosen · In corso · 172.3k Parole
Introduzione
Dopo il salvataggio, lo spirito di Elina era a pezzi. Era diventata una ragazzina terrorizzata e, una volta tornata dalla sua famiglia, si mostrava timida e remissiva. Col tempo, però, le cose sarebbero cambiate e il suo carattere forte sarebbe riemerso. E allora tutti avrebbero capito che con Elina non si scherza.
Elina e Ian erano stati addestrati dal capo della gang che li aveva raccolti dalla strada, ed entrambi erano diventati abili e letali contro i propri nemici. Il capo si era anche assicurato che ricevessero un'ottima istruzione, rendendoli estremamente intelligenti.
A Elina e Ian basta guardarsi negli occhi per comunicare. Hanno un legame speciale e riescono a percepire il dolore l'uno dell'altra. Sono gemelli identici e spesso si muovono come un'unica entità, uniti da una profonda comprensione reciproca.
Elina e Ian fanno del loro meglio per integrarsi nella famiglia e nella nuova vita a Los Angeles, a scuola con i loro fratelli e con tutta l'attenzione che ne consegue. Devono anche fare i conti con gli incubi del loro passato.
Riusciranno a trovare la felicità e l'amore? Saranno in grado di accettare sé stessi e di riconoscere di nuovo il proprio valore? Il loro più grande desiderio è vivere una vita serena e felice.
Capitolo 1
Il punto di vista di Ian
«BASTA, TI PREGO!» urlai a squarciagola.
Non posso continuare a guardare la mia sorellina venire stuprata più volte al giorno in questo modo!
Vincent si girò e mi guardò con un sorrisetto.
«Tua sorella è la miglior scopata che mi sia mai fatto!» disse, con quel ghigno ancora stampato in faccia.
Cercai di nuovo di divincolarmi dalle catene, ma era inutile.
Ci tenevano lì da così tanto che non sapevo nemmeno più da quanto tempo fossimo prigionieri.
Il giorno che ci presero, eravamo in netta inferiorità numerica.
Cento uomini contro noi due.
Mi costringevano a guardare mentre si prendevano gioco di mia sorella, anche lei legata e appesa al soffitto.
Le lacrime le rigavano il viso, ma aveva imparato a non emettere alcun suono. Se avesse fatto rumore durante i “giochini” di Vincent, sarei finito io a prendere un sacco di botte.
Avrei sopportato qualunque pestaggio, se solo fosse servito a proteggere mia sorella da questo inferno.
Non ce la facevo più a vederla trattata così.
Lo leggevo anche nei suoi occhi: aveva perso la volontà di andare avanti.
Mi si spezzava il cuore a vederla in quello stato.
Se solo fossi riuscito a liberarmi da queste catene l'avrei salvata, ma ci slegavano solo una volta a settimana per una doccia gelata — l’ultima due giorni fa — e in quelle occasioni avevamo sempre una decina di guardie intorno.
E due volte al giorno per usare il bagno, mattina e sera, anche lì con dieci guardie a sorvegliarci.
Pregavo solo che Seb ci trovasse presto.
Perché non potevamo andare avanti così ancora per molto.
Eravamo entrambi malconci, pieni di tagli e pugnalate.
Anzi, mi sorprendeva che fossimo ancora vivi dopo il trattamento che ci riservavano ogni singolo giorno.
Vidi Vincent finire il suo passatempo sessuale con mia sorella, poi si avvicinò al tavolo e prese un coltello.
«Dicci dov'è la base dei Black Serpents e tutto questo finirà, per entrambi!» disse Vincent, spostando lo sguardo da mia sorella a me.
(N.d.A.: quando scriverò in grassetto così, Elina e Ian stanno comunicando con lo sguardo)
Vidi mia sorella guardarmi con un'espressione sfinita.
«Non possiamo dirgli niente, fratello! Dobbiamo proteggere gli altri!»
«Lo so, mi fa solo male vederti trattata in questo modo!»
«Lo so, fratello, fa male anche a me quando ti picchiano! Ma dobbiamo essere forti per la nostra ‘famiglia’. Non possiamo permettere che gli succeda qualcosa, si sono presi cura di noi per cinque anni.»
«Nessuno dei due ha voglia di parlare oggi, eh?» disse Vincent con un sorrisetto.
«Come volete, allora. Sarà punizione!» esclamò, prima di pugnalare mia sorella al basso ventre e torcere la lama. Lei, però, non emise un grido.
«BASTA, TI PREGO!» urlai di nuovo, con le lacrime che mi scendevano sul viso.
«Smetterò quando sarai disposto a darmi le informazioni che voglio!» disse Vincent con un sorriso malvagio che mi costrinse a distogliere lo sguardo da lui e da mia sorella. Lei non voleva che parlassi, quindi dovevo restare in silenzio.
Vincent finì per prendere a pugni mia sorella a mani nude. Altre lacrime mi rigarono il viso, e sentivo quanto dolore stesse provando lei. Avrei solo voluto poterglielo portare via tutto io.
Dopo averla picchiata per buoni trenta minuti, lasciandola priva di sensi, cominciò a prendersela con me. Trascorsi altri venti minuti, una guardia spalancò la porta.
«Capo, siamo sotto attacco!» urlò in preda al panico. Vincent imprecò in mille modi diversi prima di darmi un ultimo pugno in faccia e correre fuori con le altre guardie presenti.
Sentii un sacco di spari, poi all'improvviso un gruppo di uomini che non ricordavo di aver mai visto prima irruppe nella stanza per ispezionarla. Quando videro me e mia sorella, legate al soffitto, coperte di sangue e lividi, ci guardarono sconvolti.
«Oh mio Dio, Elina!» esclamò uno di loro, correndo verso mia sorella per tirarla giù con delicatezza. Altri due uomini aiutarono me.
Poi vidi uno degli uomini parlare al telefono.
«Don, abbiamo ripulito la base principale dei Death Skull. Il capo non c'è, ma abbiamo trovato due persone tenute prigioniere e penso che tu debba vedere questa cosa!» disse.
«Aspetta un attimo prima di mostrarti» continuò, poi si tolse la giacca e la diede all'uomo che era corso da mia sorella. Lui gliela avvolse intorno prima di prenderla in braccio, mentre gli uomini che mi avevano aiutato a scendere sollevarono anche me con cautela.
«Don, credo che abbiamo trovato i tuoi fratelli scomparsi!» disse, e vidi che puntava il telefono verso me e mia sorella.
«Arrivo in Messico il prima possibile. Prendetevi cura di loro e teneteli al sicuro» disse l'uomo al telefono.
«Li porteremo a casa nostra, così quando atterri potrai venire da noi. Nel frattempo, ci assicureremo che le loro ferite vengano curate e che stiano al sicuro!» aggiunse uno degli altri uomini.
«Grazie, Alejandro. Ci vediamo tra qualche ora. E per favore, fate un test del DNA per sicurezza, ma sono d'accordo, hanno i tratti della nostra famiglia» disse lui. Fu l'ultima cosa che riuscii a sentire prima di perdere i sensi anch'io.
Chi sono questi tizi?
Perché sono venuti qui?
Chi era l'uomo al telefono che pensa che siamo suoi fratelli?
Ho così tante domande per la testa in questo momento, ma la mia preoccupazione più grande è dove ci stanno portando e se mia sorella è al sicuro.
Tutto ciò di cui ho bisogno in questa vita è che mia sorella sia al sicuro e possa trovare la felicità.
È lei la ragione per cui ho continuato ad andare avanti.
Cerca sempre di lasciarsi alle spalle tutto il male che ha vissuto, per sollevare il morale a chiunque le stia intorno.
Se questo significa che ora siamo salve, prego solo che, una volta guarite le nostre ferite, io possa rivedere quel dolce sorriso angelico sul viso di mia sorella.
Farò qualsiasi cosa per la mia sorellina, è tutto ciò che conta per me. E ora che ci porteranno via da questa cella, spero solo che la nostra vita possa finalmente migliorare.
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